Don Aniello Manganiello: «I vecchi clan si stanno alleando contro la paranza dei bambini» – INTERVISTA

Don Aniello Manganiello

«Il contrasto al fenomeno camorristico – denuncia ai microfoni di NanoPress.it Don Aniello Manganiello, prete anti-camorra e già Parroco di Scampia – non viene fatto in continuazione» Ed è per questo che «il più delle volte si instaura una pax mafiosa e si raggiunge una situazione di tranquillità, che è frutto di un’intesa tra i vari clan». Anche la guerra fra bande di baby camorristi si concluderà così? «I pochi boss che sono rimasti stanno correndo a prendere delle misure, i clan si stanno alleando per mettere fuori gioco questi ragazzi». Il rischio, allora, è che sia vicina una nuova ondata di omicidi e una veloce ma importante scia di sangue proprio fra la paranza dei bambini.

Dal suo punto di vista, cosa sta succedendo a Napoli?

«I riflettori dei media, dei giornali e delle televisioni, mettono a fuoco la situazione napoletana, con le sue gravissime criticità, soltanto quando scoppia una faida, una guerra. Quando si incomincia a sparare e il sangue scorre per le strade, allora ci si ricorda, ci si preoccupa e si vuole raccontare una Napoli che ha tutte le caratteristiche del Far West, dove i camorristi delle bande fanno il bello e il brutto tempo. Il problema della violenza e della criminalità è, invece, costante nella storia della città e nella vita quotidiana della gente. Il più delle volte si instaura una pax mafiosa e si raggiunge una situazione di tranquillità, che è frutto di un’intesa tra i vari clan, ma in effetti la camorra continua a operare, a delinquere, a chiedere il pizzo, a spacciare, a fare ricettazione, a fare usura, strozzinaggio. È per questo che forse bisogna iniziare ad attivare una forma di contrasto nei periodi in cui sembra che le cose vadano bene, in cui la situazione sembra tranquilla.

In questo momento si è concretizzato un vuoto di potere causato dalla decapitazione dei vertici camorristici da parte delle Forze dell’Ordine o perché ammazzati da altri camorristi. Si è quindi creata questa anarchia, in cui sono subentrate bande di ragazzi che sono stati allevati dai clan stessi, guidati e iniziati ai furti, alle rapine, allo spaccio. Non vengono dal nulla: oggi hanno preso piede perché sono mancate le guide. È per questo che sono feroci, irrazionali, senza regole e senza una progettualità futura: gestiscono i territori alla loro maniera, quella dei giovani, che ancora non è in grado di usare la ragione e di razionalizzare per portare avanti le attività criminali e lo fa quindi con ferocia, senza nessuna remora o limite».

Il vuoto di potere non è, quindi, stato riempito dalla legalità. Cosa è mancato?

«Innanzitutto il contrasto al fenomeno camorristico non viene fatto in continuazione, ma solo quando la Magistratura ordina blitz e arresti. Non è un’operazione continua e tempestiva e quindi non è invasiva nei confronti della criminalità organizzata. Questo può essere un motivo, ma comunque un territorio non lo si può cambiare usando solo i muscoli. Lo Stato invece, in quei territori, usa soltanto i muscoli, arrivando fino all’utilizzo dell’esercito: la repressione però non basta perché non elimina il problema.

Io, infatti, non posso giustificare il crimine perché ci sono situazioni di povertà, di miseria, di disoccupazione, come a Scampia dove la disoccupazione arriva al 75%, visto che anche io provengo da una famiglia povera: sono l’ultimo di otto figli, nato dopo la morte di mio padre e nessuno di noi è diventato delinquente e sono campano. Non tutti, però, hanno la fortuna di fare dei percorsi educativi o di avere una famiglia che, nonostante gli stenti, per educazione, non ha mai pensato di usare la criminalità organizzata come ammortizzatore sociale, quale in effetti è. Fintanto che si permette alla camorra di essere un ammortizzatore sociale perché lo Stato, oltre a mostrare i muscoli, no fa nulla, allora il problema ci sarà sempre.
Bisogna invece creare opportunità di lavoro e, nel contempo, operare per la sicurezza del territorio, usando anche la mano forte con la certezza della pena anche come fatto educativo.

Ora ci si è accorti del problema perché si spara per le strade, però tra tre quattro anni sarà uguale: i giovani laureati o comunque i migliori se ne vanno con una desertificazione costante e continua».

Se queste bande sono composte da ragazzotti, spesso anche minori, sono sicuramente più pericolose, ma anche più contrastabili?

«La faida tra questi ragazzotti sarebbe sicuramente più contrastabile da parte delle Forze di Polizia. A parte la ferocia e l’irrazionalità con cui si muovono, sono anche più fragili, vulnerabili al contrasto delle Forze dell’ordine e quindi un contrasto serio permetterebbe di fermare questi ragazzi, che possono usufruire delle armi del clan da cui sono stati allevati. È ovvio che poi dobbiamo mettere in campo delle iniziative che accompagnino questi ragazzi. Ad un Alfano che propone l’abbassamento dell’età della punibilità rispondo che il carcere allena i delinquenti e li peggiora. Bisogna dare alternative per il recupero di questi ragazzi: lo Stato ci metta anche i soldi, investa nell’accompagnamento di questi ragazzi, educandoli e preparandoli a un lavoro, mandandoli in case di accoglienza con degli educatori validi.

Ho sempre sostenuto che gli irrecuperabili non esistono, se si mette in campo un progetto serio per il recupero. Scampia, ad esempio, non è solamente quello che racconta Saviano: è una realtà che presenta tante situazioni, ma quando arrivi ti viene la sensazione che sia una terra di nessuno, che lo Stato non c’è. Eppure polizia e carabinieri ci sono, non c’è il welfare, non c’è lo stato sociale, quello che intelligentemente propone».

Ritiene che i giovani della società civile stiano reagendo a questa situazione?

«Non mi pare proprio. Ho visto fare una fiaccolata dopo la morte di un ragazzo che era avvezzo a fare le rapine, l’hanno fatta per protestare contro chi l’ha ucciso. Ma arrivare a dire che i giovani della società civile  hanno espresso segnali di ribellione e una presa di distanza da queste situazioni concretamente mi pare eccessivo.

Le associazioni a Scampia continuano a fare il loro servizio e il loro lavoro, come la mia associazione sportiva che accompagna 300 ragazzi nel mondo del calcio e li allena, veicolando anche i valori della vita come il rispetto degli altri, delle cose, l’importanza dello studio, della cultura. Questi eventi non scoraggiano le associazioni che continuano a lavorare; probabilmente in certe situazioni e in certi campi si è meno incisivi e le associazioni corrono il rischio di dedicarsi solamente a una porzione della gioventù di Scampia che non evidenzia o non presenta notevoli problematiche o che non sono difficilmente gestibili».

Quale sarà, secondo lei che ne ha viste molte di faida a Scampia (a partire da quella fra il clan Di Lauro e gli scissionisti) la fine di questa guerra?

«I pochi boss che sono rimasti stanno correndo a prendere delle misure: i clan di Miano e quelli della Sanità stanno lavorando per mettere fine a queste azioni feroci delle bande. La camorra sta prendendo già in mano la situazione, i clan si stanno alleando per mettere fuori gioco questi ragazzi perché stanno avendo un danno economico. Facendosi la guerra, infatti, attirano un maggior contrasto delle Forze dell’Ordine e questo non gli permette di portare avanti le loro attività criminali. La camorra sta prendendo posizione di fronte a questa situazione per regolarizzare le loro attività criminali sui territori. Perché senza la pax mafiosa non possono lavorare, come è avvenuto dopo la faida tra gli scissionisti e i Di Lauro.
Il problema si deve affrontare sul piano culturale e sul piano del lavoro: sono le uniche due strategie che alla lunga risolvono il problema, altrimenti quei territori si troveranno ancora nella stessa situazione tra pochi anni».

Impostazioni privacy