Dj Fabo: Marco Cappato indagato per il reato di aiuto al suicidio, la sua sfida contro l’immobilismo della politica

Morte dj Fabo - Marco Cappato dai carabinieri per autodenunciarsi

Come ci si aspettava all’indomani della drammatica conclusione della vicenda che ha coinvolto Dj Fabo, Marco Cappato, il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, è stato iscritto nel registro degli indagati per il reato di aiuto al suicidio. Cappato, infatti, per sollevare la famiglia del ragazzo da ogni responsabilità, ha accompagnato Dj Fabo in Svizzera, presso la clinica dove il ragazzo ha potuto scegliere liberamente la dolce morte, che invece in Italia non è contemplata da nessuna legge. Ricordiamo che è stato lo stesso Marco Cappato a raccontare tutto ai carabinieri, una volta tornato in Italia, quindi il pm Tiziana Siciliano, alla quale è stato trasmesso il verbale, lo ha iscritto nel registro degli indagati dopo la sua autodenuncia, e nei prossimi giorni potrebbe convocarlo per un’interrogazione.

Qualcosa forse è destinato a cambiare nell’immobilismo della politica che finora ha scelto di non scegliere su un tema così cruciale e importante come il fine-vita. Marco Cappato, da sempre a fianco delle famiglie che soffrono e che hanno a che fare con una scelta estrema come l’eutanasia, ha deciso di ”sfidare” la classe politica dirigente per costringerla a discutere dell’argomento, evidenziando a più riprese il suo ruolo attivo avuto nel ricovero in una clinica svizzera di Dj Fabo, e nella sua morte. Appena rientrato in Italia, si è andato a denunciare ai Carabinieri, i quali hanno trasmesso il verbale al pm di Milano Tiziana Siciliano, titolare dell’indagine.

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E dopo l’iscrizione nel registro degli indagati con l’accusa di aiuto al suicidio, Cappato ha commentato con parole semplici la vicenda: “Sono pronto a difendere le mie ragioni”, ha detto. D’altronde lo scopo del Radicale è proprio quello di scuotere il dibattito e arrivare finalmente a una soluzione condivisa che possa evitare ulteriori complicazioni alle famiglie già provate da situazioni drammatiche, e garantisca invece la libertà per ciascun cittadino italiano di decidere della propria vita fino in fondo. E se è vero che la politica fa orecchie da mercante, Cappato sa perfettamente che portando l’argomento in tribunale, e rischiando una eventuale condanna, si potrebbe arrivare finalmente ad una decisiva svolta.

Al momento, aiutare qualcuno a morire, in Italia, è un atto che costituisce reato, per cui l’esponente dei Radicali rischia fino a 12 anni di carcere. Ma questo non lo spaventa, anzi, subito dopo la morte di Dj Fabo, Cappato aveva provocatoriamente affermato, a microfoni di Radio 24: “Mi autodenuncerò e spero di essere incriminato. Voglio difendere davanti a un giudice le regioni di principi costituzionali superiori, come la libertà e l’autodeterminazione, contro un codice penale di epoca fascista“.

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Cappato si riferisce all’articolo 580 del Codice Penale, il cui dispositivo recita: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima. Le pene sono aumentate se la persona istigata, eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell’articolo precedente. Nondimeno, se la persona è minore di anni quattordici o priva della capacità d’intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all’omicidio”.

Una legge in cui, per il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, “ancora non si fa differenza tra l’aiuto a un malato che vuole interrompere la sua sofferenza e lo sbarazzarsi di una persona“. Dopo la sua testimonianza su tutte le tappe del percorso di Fabo per ottenere l’assistenza medica e la dolce morte: “Sarà poi compito dello Stato decidere se girare la testa dall’altra parte o assumersi le sue responsabilità di fronte alle persone malate terminali”, uomini e donne che “hanno un problema: non si vedono”, perché “se potessero bloccare le stazioni e le strade per settimane come fanno altre persone, la legge sull’eutanasia l’avremmo avuta 40 anni fa“.

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Quindi, arrivato alla caserma dei carabinieri di via delle Fosse Ardeatine, nel centro di Milano, alle 14.45 del 28 febbraio, Marco Cappato ha voluto dichiarare la propria responsabilità personale nell’agevolare la morte volontaria di Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, 40enne, diventato cieco e tetraplegico nel 2014 dopo un incidente in auto, che aveva chiesto l’aiuto dell’esponente dell’associazione Luca Coscioni per ottenere il suicidio assistito in Svizzera e uscire da “quell’inferno senza fine fatto di dolore” in cui si sentiva intrappolato. Di seguito, l’ultimo messaggio che Fabo ha voluto lasciare ai posteri:

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E c’è da dire che ogni anno sono centinaia gli italiani che vanno nelle cliniche Svizzere per ottenere il suicidio assistito, ma in mancanza di una denuncia o di un’autodenuncia, non salgono agli ‘onori’ delle cronache. Cappato ha quindi precisato ai carabinieri: “Che ci sono altre due persone che stiamo aiutando, hanno già avuto il semaforo verde e un appuntamento in Svizzera. Le assisteremo entrambe, una economicamente e l’altra materialmente. Con Mina Welby, Gustavo Fraticelli e tutta l’associazione continueremo a raccogliere fondi per pagare le spese” a chi vuole andare in Svizzera per accedere all’assistenza per il fine-vita. “Se non ci fermeranno – ha aggiunto – vuol dire che lo Stato volta la testa e non vuole prendersi le responsabilità”.

LEGGI QUI LA NOSTRA INTERVISTA A MARCO CAPPATO

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