Dj Fabo funerali in Chiesa? Così il Vaticano rompe con il passato

Dj Fabo

Una preghiera in Chiesa, un momento di raccoglimento per dare l’ultimo saluto a Fabiano Antoniani, Dj Fabo come amava farsi chiamare, il 40enne cieco e tetraplegico morto lo scorso 27 febbraio con il suicidio assistito in Svizzera. La Curia di Milano ha accolto la richiesta della madre: venerdì 11 marzo, alle ore 19, nella parrocchia di Sant’Ildefonso in piazzale Damiano Chiesa, a Milano, si terrà una commemorazione in sua memoria. Non si tratta di un funerale vero e proprio, ma di una veglia, ha specificato la curia milanese. Il dettaglio è importante ma lo è anche l’apertura delle istituzioni religiose che solo dieci anni prima aveva negato il funerale religioso a Piergiorgio Welby. Cos’è cambiato in questi anni? La Chiesa sta davvero aprendo all’eutanasia?

Il messaggio era stato lanciato da Valeria Imbrogno, la compagna di Fabo che gli è stata accanto fino alla fine, con un post sulla sua pagina Facebook, datato 6 marzo. “Per chi volesse salutare Fabo, la cerimonia sarà venerdì 10 alle ore 19.00 nella parrocchia di sant’Ildefonso, piazzale Damiano Chiesa 7. Milano”. Poche parole che nascondono una piccola, grande rivoluzione: la Chiesa apre le porte alle sofferenze di chi ha preferito lasciarsi andare e non soffrire più.

La conferma è arrivata a stretto giro da parte della Curia di Milano. “La parrocchia ha aderito al desiderio che la madre di Fabo ha espresso, ovvero che si tenga un incontro di preghiera e che ciò avvenga nella parrocchia in cui suo figlio fu battezzato e in seguito ha ricevuto tutti gli altri sacramenti. Chiesto il parere della curia, sarà il parroco, don Antonio Suighi, a guidare la preghiera”, ha specificato il responsabile per la comunicazione don Davide Milani.

La mamma di Fabo ha scelto la parrocchia dove Fabo era stato battezzato, l’oratorio dove aveva giocato da piccolo, dove aveva ricevuto i sacramenti: un luogo simbolico per tutti coloro che l’hanno visto crescere e che l’hanno accompagnato fino alla fine, sostenendolo nella sua battaglia più difficile.

Non sarà un funerale, ricorda ancora la curia, anche perché i suoi cari vorrebbero disperdere le sue ceneri in India, il paese che tanto amava. Don Antonio aveva anche proposto una vera e propria messa in suffragio, ma la famiglia ha preferito una veglia di preghiera, spiega ancora don Milani, perché più vicino alla commemorazione che avrebbe voluto lui. “Sarà il modo per tutti noi di accompagnare il dolore di questa madre e di tutti coloro che hanno voluto bene a Fabo, nonché per pregare per lui”.

La Chiesa non ha aperto all’eutanasia
Se è vero che le istituzioni religiose hanno cercato di minimizzare il significato della cerimonia, è anche vero che il gesto viene visto da tutti un’apertura su temi così delicati. Bisogna però dire con chiarezza che la Chiesa non ha aperto all’eutanasia. Nessun cedimento dal punto di vista della dottrina che condanna il suicidio e in particolare quello assistito, e che sull’eutanasia ha sempre chiuso in maniera netta e categorica.

Monsignor Luca Bressan, Vicario episcopale della Diocesi di Milano, intervistato da Repubblica, ha ribadito che la preghiera è la risposta della Chiesa a “una mamma cristiana che è andata da un prete, chiedendo ‘mi aiuti a vivere questo dolore immenso con la mia fede’. E la nostra risposta è: ‘Questo dolore lo portiamo insieme”.

Una Chiesa più misericordiosa?
A cambiare è stato l’atteggiamento verso il tema dell’eutanasia. Dieci anni fa, Piergiorgio Welby, da cattolico, si vide negati i funerali religiosi. A fare scandalo, con una decisione che le autorità religiose di allora definirono “sofferta”, non era solo la vicenda in sé, ma anche il pensiero di funerali in Chiesa per boss mafiosi: com’era possibile?

Già all’epoca fu chiaro che la posizione del Vaticano fu politica: il caso Welby aveva portato il tema dell’accanimento terapeutico e dell’eutanasia allo scoperto, scatenando un dibattito acceso, spesso con toni forti (in qualche caso fuori luogo). La Curia usò il diritto canonico che elenca i casi in cui si possono negare i funerali religiosi: tra questi, rientrano anche “i peccatori manifesti, ai quali non è possibile concedere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli”. Per la Chiesa, Welby era un “peccatore” conclamato perché ottenne di staccare il respiratore e quindi di morire, dopo essere stato sedato: si preferì insomma non dare l’avvallo “mediatico” alla lotta di Piergiorgio e Mina Welby.

Da allora sono passati dieci anni. Il dibattito pubblico ha visto anche il caso di Eluana Englaro e la battaglia della famiglia, che ha scosso ancora di più le coscienze. Le loro vicende, come quella di Fabiano, hanno avuto la forza di portare in pubblico quello che migliaia e migliaia di famiglie vivono ogni giorno nel privato, affrontando da soli temi che la politica non prova neanche a toccare.

La Chiesa non poteva rimanere sorda alle richieste di compassione e misericordia dei suoi fedeli: è a loro che deve dare le risposte, non allo Stato che è laico e dovrebbe avere il coraggio di dimostrarlo fino in fondo. La preghiera per Fabo rappresenta un’apertura verso coloro che soffrono e che hanno sofferto, fa notare Mina Welby, co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni.

“Molti illustri rappresentanti della Chiesa hanno espresso la propria compassione e comprensione per il dolore di Fabo e a nome mio e dell’Associazione Luca Coscioni non posso che porgere un sincero e profondo ringraziamento per questa apertura che porta con sé un grande valore di umanità e progressismo”, si legge nel comunicato

“Tanti cittadini si trovano nelle condizioni di Fabo ed è importante che nessuno di loro si senta abbandonato a se stesso. Per questo ringrazio anche Papa Francesco che grazie al suo esempio illuminante e al suo Giubileo della Misericordia ha avuto un grande effetto sui cuori di tanti ed è riuscito a portare nell’ambito della Chiesa una rinnovata sensibilità verso la comprensione di posizioni non canoniche”, ha concluso.

L’ipocrisia della politica
La vicenda di Fabo è riuscita là dove quella di Welby aveva fallito, smuovere cioè la compassione del Vaticano perché fosse meno rigido. Pur rimanendo contrario all’eutanasia, la Chiesa ha guardato alla sofferenza di Fabiano e di chi lo ha perso e ha capito che poteva aiutarli a suo modo.

Se lo ha fatto è anche perché la politica è rimasta in silenzio sul tema eutanasia per anni. Se questo ha fatto cadere nel vuoto l’appello di Fabo sulla legge per il testamento biologico, ha anche dato meno palcoscenico ai quei politici che si aggrappano ai dogmi per urlare e sbraitare contro tutto e tutti.

Il caso Englaro è stato esemplare: dopo anni di battaglie, quando il tribunale diede ragione a Beppe Englaro e si iniziò la procedura per sospendere idratazione e nutrizione dopo 17 anni di coma vegetativo, il Senato si riunì in fretta e furia per un decreto fatto apposta per vietarne la sospensione: alla notizia della morte di Eluana, in Aula si scatenò l’inferno, con il senatore Quagliariello che urlava “Non è morta, è stata ammazzata”.

Scemato il clamore, a telecamere spente la politica si è disinteressata del tema del fine vita, finché non è stata chiamata in causa da Dj Fabo. Invece di dare una risposta, ci si è voltati dall’altra parte, facendo finta di non vedere lui, la sua sofferenza e quella di migliaia di italiani. La Chiesa, almeno questa volta, lo ha fatto.

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