Del tabacco agli idrocarburi, così le multinazionali fanno fondi neri con il contrabbando

Passano gli anni, cambiano le regole del mercato e l’economia vive momenti di alterna fortuna, ma alcune pratiche cattive commerciali continuano a esistere e a essere utilizzate, perché evidentemente ancora proficue, nonostante le gravi controindicazioni oramai riscontrate. Infatti, secondo ina nuova inchiesta sull’Eni (Scopri qui tutte le altre), dagli stabilimenti dell’Ente Nazionale Idrocarburi usciva più GPL di quanto ne venisse dichiarato, in modo da risparmiare sulle accise ma anche per avere delle entrate occulte e quindi dei guadagni non registrati da nessuna parte. Un meccanismo criminale già descritto da Ciro Mazzarella circa il contrabbando di sigarette, diffuso in Europa fino alla fine degli anni ’80.

La Procura di Roma, che ha indagato due manager della società e un imprenditore accusati di aver falsificato le bolle, infatti sostiene che sarebbe stata attuata «un’evasione fiscale da milioni di euro per fare fondi neri». L’evasione fiscale ammonterebbe, sempre secondo la Procura della capitale, a oltre 2 milioni di euro, ma la stima è che il danno per lo Stato sia ben più alto e soprattutto bisogna capire a cosa servissero quei fondi. «È necessario – scrive il Pubblico Ministero Mario Palazzi – a questo punto comprendere a chi sia destinato il denaro “risparmiato” derivante dal mancato versamento dell’accise su essi dovuta, ben potendosi ritenere, ad esempio, che esse venga impiegato in attività non lecite trattandosi di provento del reato».

Ma il meccanismo descritto dagli inquirenti non è una novità. Infatti Ciro Mazzarella, nell’intervista che ho raccolto nel libro “Lo Spallone – Io, Ciro Mazzarella, Re del contrabbando”, spiega: «Il contrabbando di tabacco lavorato è iniziato a finire per mancanza di sigarette non appena è caduto il Muro di Berlino, e questo dimostra come le multinazionali del tabacco abbiano sempre incentivato il mercato parallelo per riuscire a creare fondi neri e coprire alcune spese».

«Le multinazionali del tabacco – continua Mazzarella – non avrebbero avuto, e infatti dal 1989 in poi non hanno mai più avuto, alcun interesse a vendere le sigarette al mercato nero, in quanto sono loro, Philip Morris e poche altre, le uniche produttrici, almeno che non gli servisse per realizzare fondi neri che, come tali, potevano essere utilizzati in qualsivoglia modo occulto».

«Sicuramente – conclude il Re del contrabbando – durante il periodo della Guerra Fredda servivano tanti soldi da poter spendere senza lasciar traccia». Ma di certo ancora oggi servono alle società fondi da poter spendere senza dover dare giustificazione di come quei soldi siano stati spesi, ad esempio per la corruzione. E infatti Eni è sotto inchiesta proprio per fenomeni di corruzione internazionale.

L’indagine della Procura di Roma, tuttavia, non coinvolge direttamente la società, quanto dei suoi funzionari che gestivano quella che gli stessi inquirenti definiscono «non un semplice accordo criminale meramente occasionale o accidentale, ma un accordo diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso per la commissione di una serie indeterminata di delitti». E infatti lo stesso PM Palazzi aggiunge: «Certo è, infatti, che nessuno in Eni ha mai assunto iniziative per ovviare anche solo tardivamente agli omessi versamenti dell’accisa e ciò anche dopo che la stessa società è stata interessata dai provvedimenti di ispezione e acquisizione di documentazione emessi dalla Procura di Frosinone».

Anche in questo il meccanismo coincide con quello, attivo fino a vent’anni fa, descritto da Mazzarella: «Ovviamente non erano le multinazionali a vendere direttamente a noi contrabbandieri, ma gli intermediari che compravano allo stesso prezzo dei rivenditori ufficiali, solo che lo facevano in modo ufficioso: le multinazionali in questo modo non ci perdevano nulla e in più non pagavano le tasse su tutto il venduto in nero».

Questi meccanismi, però, oltre a costituire di per sé un illecito, aumentano il potere e la ricchezza della criminalità organizzata, perché è grazie ai rapporti con la cosiddetta finanza lecita che «bande di malavitosi possano, entrando in rapporti con l’economia lecita, riciclare i loro proventi, offrire i loro servizi e quindi strutturarsi e potenziarsi».

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