Crollo dighe in Brasile: disastro ambientale senza precedenti

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In Italia non ha avuto la giusta eco quanto accaduto nel sud-est del Brasile lo scorso 5 novembre, il crollo di due dighe nei pressi di una miniera di ferro di proprietà della società Samarco, contaminando con tutta probabilità l’intera area circostante. Secondo la presidente brasiliana Dilma Rousseff questo cedimento rappresenta uno dei peggiori disastri ambientali della storia del Paese, e la portata ambientale è paragonabile a quanto avvenuto nel Golfo del Messico alcuni anni fa a causa della piattaforma petrolifera della British Petroleum. Il crollo delle dighe in Brasile, come dimostra anche questo video di Greenpeace diffuso sul web, ha sommerso il villaggio di Bento Rodrigues a Mariana, cittadina nella regione di Minas Gerais, un’ondata di melma, fango e rifiuti tossici vari, poiché le costruzioni fungevano da contenimento per le acque reflue.

Non bastassero gli undici morti, i dodici dispersi e le diverse centinaia di famiglie sfollate, a far davvero tremare le autorità e la popolazione circostante sono gli oltre cinquanta milioni di metri cubi di fanghi e liquidi residui della lavorazione mineraria che si sono riversati sul territorio a seguito del cedimento delle due dighe: basti pensare che, stando alle rilevazioni effettuate finora, tra le sostanze presenti vi è il mercurio, una delle più letali in circolazione, sebbene la Samarco abbia negato fino ad oggi la tossicità della colata melmosa, impegnandosi ad ‘effettuare tutti gli sforzi possibili per dare priorità alle esigenze delle persone che erano nella zona di incidente‘, oltre che a pagare il risarcimento danni stimato in 260 milioni di dollari. La conseguenza più immediata e diretta del crollo delle dighe è che 250mila persone sono senz’acqua potabile, mentre i corsi d’acqua circostanti hanno assunto un allarmante colore arancione: la contaminazione dell’acqua rischia di mettere in ginocchio l’intero ecosistema della zona, ed alcune associazioni già parlano di specie animali ritrovate senza vita a seguito dell’incidente. E l’agenzia delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato che esistono prove a sostegno della tossicità del fango, che conterrebbe alti livelli di metalli pesanti tossici e di altre sostanze inquinanti, criticando fortemente il governo brasiliano per la risposta insufficiente davanti a cotanto disastro ecologico.

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Intanto emergono alcune indiscrezioni circa le cause del crollo della diga: secondo alcune fonti locali, rilanciate in Italia da Il Fatto Quotidiano, il giorno in cui si è verificato l’incidente si stavano effettuando alcuni interventi di ristrutturazione per allargare la diga, in modo da poter accogliere un numero maggiore di scarti, tra cui è stata accertata la presenza di cromo, piombo, arsenico ed altri metalli pesanti. Secondo gli scienziati interpellati la melma fangosa potrebbe avere un impatto ambientale devastante, facendo diminuire la fertilità del terreno ed alterando il corso dei torrenti, che vedrebbero drasticamente calare i livelli di ossigeno nell’acqua. L’ultimo colpo ferale assestato soprattutto al fiume Rio Doce, storicamente una delle principali vie di collegamento tra la regione e l’Oceano Atlantico, colpita sin dall’Ottocento, ai tempi della colonizzazione portoghese, dallo sfruttamento minerario: parliamo di una delle più importanti arterie idriche del sud-est del Brasile, che attraversa in profondità la foresta pluviale: nel fiume sono stati rinvenuti livelli di mercurio e arsenico dieci volte superiori ai limiti legali. I biologi temevano che l’inquinamento tossico potesse giungere fino alle coste, facendo morire per asfissia tutte le specie ittiche, la flora e la fauna che abitano l’intera area: una corsa contro il tempo è scattata per la salvaguardia dell’habitat, vedendo impegnate numerose associazioni ambientaliste in lotta per contrastare la spazzatura chimica che avvelena l’acqua.

E purtroppo duole constatare che lo scorso 22 novembre il fango è arrivato fino all’Oceano Atlantico, e secondo l’opinione di Andres Ruchi, direttore della Scuola di Biologia Marina di Santa Cruz, potrebbero volerci 100 anni per far tornare alla normalità una delle maggiori culle di biodiversità di tutto il Brasile, un luogo in cui molte specie come tartarughe, balene e delfini vengono a riprodursi. A dispetto di quanto continua a dichiarare la Samarco, che nega la tossicità, le popolazioni indigene del luogo stanno già riscontrando la moria di pesci ed altre specie faunistiche: sotto accusa finisce l’azienda soprattutto per le gravi inadempienze che la diga avrebbe manifestato dal punto di vista della manutenzione e degli standard di sicurezza, in cui mancherebbe tra l’altro un qualsiasi protocollo per affrontare emergenze come queste. Un disastro comunque prevedibile, giacché almeno dal 2013 esisteva un rapporto che denunciava la pericolosità di queste dighe riempite di rifiuti e scarti di lavorazione. Un grido inabissato nel silenzio, l’ennesimo, mentre tutto intorno a Minas Gerais e al Rio Doce muore nell’indifferenza del mondo.

Ad un mese dal crollo: punto della situazione

Ad un mese circa dal crollo delle dighe nella regione di Minas Gerais, alcuni reportage sul posto hanno fatto il punto della situazione, confermando che quanto accaduto rappresenta uno dei disastri ecologici più sconvolgenti mai accaduti. Le acque del Rio Doce, con una colorazione che va dal marroncino all’arancione, sono ora una gigantesco cimitero di pesci morti e di altre creature marine agonizzanti, un canale coperto di fango mentre tutto intorno è disboscato. Il governatore di Minas Gerais, Fernando Pimentel, ha affermato che la Samarco, responsabile delle dighe in cui erano depositati materiali di scarto minerari, non sta facendo abbastanza per le operazioni di pulizia e di approvvigionamento dell’acqua: una prima stima aveva fissato in 27 miliardi di dollari la cifra necessaria per il ripristino dell’area, ma a quanto pare sarà necessario sborsare molto di più, visto che la colata di fango tossica è giunta fino all’Oceano, mettendo in pericolo alcune preziose riserve naturali.

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