Criminalità organizzata transnazionale, intervista a Filippo Spiezia

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«Oramai siamo di fronte a un fenomeno di criminalità organizzata transnazionale, in cui certamente i gruppi criminali italiani fanno una parte ancora da protagonista ma non sono i soli e quindi è necessario che ci sia uno sforzo da parte di tutti i Paesi interessati a questo fenomeno, attraverso meccanismi di cooperazione internazionale per contrastarlo sempre più efficacemente». È questo l’appello che ha lanciato il Procuratore Nazionale Antimafia, Franco Roberti, in un’intervista esclusiva a NanoPress.it. Così abbiamo deciso di approfondire il problema con il Responsabile del Servizio Cooperazione internazionale della Direzione Nazionale Antimafia, Filippo Spiezia.

«La criminalità organizzata – spiega Spiezia, che fa anche parte del Gruppo di esperti sulla tratta che coadiuva l’azione dell’EU Antitraffiking coordinator e dal 2008 al 2012 è stato anche componente della Rappresentanza italiana ad Eurojust, l’agenzia dell’Unione Europa che coordina le autorità nazionali nella lotta contro le forme gravi di criminalità transnazionale – è transnazionale quando l’attività criminale interessa il territorio di più Stati o quando una parte rilevante della preparazione o dell’esecuzione di un reato avviene in uno Stato e la deliberazione in un altro».

«Il fenomeno – continua il Sostituto Procuratore Filippo Spiezia – è stato riconosciuto normativamente nel 2000 con la Convenzione ONU sulla criminalità organizzata, ma in realtà esso è risalente nel tempo: basti pensare alla fine degli anni ’70 quando e organizzazioni criminali si prestavano alleanza e reciproco aiuto ad esempio per il traffico dei tabacchi lavorati e successivamente di droga».

Tuttavia, se già è difficile la lotta alla criminalità organizzata all’interno di un solo Psese, ancora più complicata risulta essere a livello internazionale: «Quando il fenomeno criminale organizzato si sviluppa sul piano transnazionale, coinvolgendo più ordinamenti, si pongo infatti problemi sia per poter acquisire prove oltre i confini nazionali, sia per poter organizzare una risposta strategicamente coordinata, sia per poter poi processare i responsabili di tutta la catena criminale. Tutto questo percorso è reso difficile e ostacolato dalla disomogeneità degli ordinamenti processuali, dal fatto che non tutti gli Stati hanno ratificato e attuato i trattati internazionali, in primo luogo la convenzione ONU sul crimine organizzato».

«Nell’immediato – conclude quindi il Responsabile del Servizio Cooperazione internazionale della Direzione Nazionale Antimafia – è necessaria una piena applicazione dei trattati esistenti, mi riferisco ancora una volta alla convenzione ONU sul crimine organizzato, e poi in prospettiva si può ragionare a livello europeo sulla costituzione del Procuratore Europeo per le fattispecie lesive degli interessi finanziari e a livello mondiale su migliorare i meccanismi di cooperazione e incrementare il funzionamento delle strutture di coordinamento. Il crimine transnazionale richiede una risposta che non può essere confinata al singolo Stato, ma deve essere concertata e quindi è necessaria l’esistenza di organismi che facilitano questi percorsi».

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