Costo delle Regioni in Italia: è pronta la riforma?

Regioni

Alla voce costo delle Regioni, in Italia si registrano numeri da capogiro. L’apparato statale deve essere riformato, ma sui tempi e i modi della riforma ancora non c’è chiarezza. Nonostante i proclami alla trasparenza del governo Renzi, a oggi il rapporto sulla spending review messo a punto dal gruppo di lavoro di Carlo Cottarelli non è ancora stato reso pubblico. L’accusa è arrivata da Riccardo Puglisi, studioso di politiche pubbliche dell’università di Pavia, che se ne è occupato fin dall’epoca di Enrico Letta. Dalle pagine del Corriere della Sera, il ricercatore ha chiesto, anche con toni duri, di rendere pubblico il lavoro di 106 pagine, consegnato a marzo. La domanda sorge spontanea: è pronta la riforma? Se sì, perché non viene presentata? Perché non dare all’opinione pubblica i dati emersi dallo studio?

Ci si interroga sui motivi che hanno spinto Matteo Renzi a non usare l’arma della trasparenza a tutti i costi. Il premier si è sempre fatto vanto di voler rendere tutto pubblico, ma il documento sui costi delle Regioni, così come su quello delle Province e dei Comuni manca all’appello. I motivi possono essere diversi: il percorso accidentato delle riforme e in particolare della modifica del Titolo V, con il governo impegnato a non inimicarsi troppo le Regioni per portare a casa il pacchetto completo. Si vuole aspettare per avere un piano più dettagliato, magari messo a punto con gli enti locali?

A svelare parte del documento è Sergio Rizzo sempre dalle pagine del Corriere. Secondo il giornalista, una delle proposte prevederebbe l’allineamento dei costi regionali su parametri standard per gli stipendi di certo, ma anche sul numero degli eletti,del personale e le spese. Si parla, a detta dello studio, di un risparmio di 300 milioni l’anno.

Da modificare anche l’aspetto delle Regioni come le conosciamo oggi: dal documento emergerebbe che il Molise, così come ora, non avrebbe senso di esistere. Non solo. Lo studio avrebbe messo in luce tutti i raggiri che i politici locali hanno messo in atto per evitare le norme già del governo Monti, come quella relativa all’età minima di 66 anni per l’accesso al vitalizio. Il caso dell’ex presidente dell’assemblea regionale della Sardegna, Claudia Lombardo, Forza Italia, che percepisce il vitalizio di 5.129 euro a 41 anni è di dominio pubblico da un paio di mesi. In questi mesi qualcosa si è fatto ma molto poco, come si evince dagli studi della Corte dei Conti. In un anno per il mantenimento degli apparati statali centrali e periferici si sono spesi 6 miliardi di euro, divisi equamente tra Roma (Camera, Senato, Quirinale, Palazzo Chigi e altri) e Regioni, Province e Comuni, in calo rispetto all’anno precedente, ma non di molto: il 4% per i primi, il 5% per i secondi.

I costi delle Regioni

Il dato da cui partire è sempre quello dei costi delle Regioni. Il primo studio che si è avventurato in questo dedalo è stato quello della Voce.info condotto da Roberto Perotti che ha messo in chiaro il vero problema: non bastassero le spese per la macchina centrale dello Stato, le Regioni hanno dei costi altissimi che ricadono invariabilmente sui cittadini.

I numeri arrivano dall’analisi dei bilanci regionali per il 2012, da cui si evincono i costi totali per ogni singolo consigliere, dividendo tra retribuzione, spese per i consiglieri cessati dal mandato (gli ormai noti vitalizi), spese per il personale, contributi ai gruppi consiliari e altre spese che includono beni e servizi, spese di rappresentanza, consulenze e tutto ciò che attiene al lavoro politico.

Il dato finale e complessivo per tutte le Regioni, contando tutte le voci, è un costo di circa un miliardo di euro all’anno (985.991.000 euro) per i 1.117 consiglieri totali: quasi 230 milioni di euro per i consiglieri in carica, 172.572.000 per i vitalizi a cui si aggiungono quasi 96 milioni di euro per i gruppo consiglieri e 160 circa per altre spese e 326 euro per il personale.

La palma della Regione più costosa spetta alla Sicilia che spende 156 milioni (90 i consiglieri in carica), seguita dal Lazio a quota 84 milioni di euro (a cui sarebbero da aggiungere dai 20 ai 30 milioni di spese per il personale, dato che manca nel bilancio e che Perotti presume una spesa vicina a quella della Lombardia)

Capitolo retribuzione. In media un consigliere regionale guadagna come emolumento circa 200mila euro all’anno, dalla media di 118mila euro dell’Emilia Romagna a quella di 281mila della Calabria (vedi infografica). A questi si devono aggiungere altre voci di spesa a cui ogni consigliere ha diritto e qui le cifre aumentano e di molto. Per ogni consigliere siciliano si spende 1,7 milioni di euro l’anno a fronte di 229mila euro di retribuzione, il che rende la Regione la più costosa d’Italia, seguita dalla Calabria (1,5 ml), Lazio (1,1 ml), Campania (1,08 ml) e Piemonte (1,02 ml)

In media ogni Regione spende circa 875mila euro per consigliere in tutto quello che può servire al suo lavoro, ma con differenze notevoli tra i 410mila euro della Valle d’Aosta e la cifra della Sicilia.

Certo la Valle d’Aosta non è grande e popolosa come la Sicilia, ma si parla del triplo delle spese. Più è grande la Regione da amministrare e più si spende, si dirà: eppure l’Emilia ha oltre 4 milioni di abitanti e spende in media 650mila euro, contro la Calabria che ha 1,5 milioni di abitanti e spende 1,5 ml. Il costo per abitanti nelle due Regioni è emblematici: agli emiliani ogni consigliere costa 7,7 euro annui contro i 40 dei calabresi.

La spesa più alta divisa per abitanti è della Valle d’Aosta che ha 35 consiglieri per una popolazione di circa 128mila persone (112 euro), ma il dato è fuorviante. Per capire chi spende meglio i soldi pubblici bisogna raffrontare regioni dalla popolazione simile come Calabria, Sardegna e Liguria: nei primi due casi, il costo è quasi triplicato.

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