Cos’è il fiscal compact e cosa cambia per l’Italia?

Cos’è il fiscal compact? Cosa cambia per l’Italia? Il tema è stato piuttosto dibattuto, specialmente negli ultimi anni, ed è destinato a far parlare ancora a lungo. Molti lo definiscono un errore. Su questa scia si collocano sia Stefano Fassina, ex viceministro all’Economia ed esponente del Partito Democratico, che Silvio Berlusconi, il quale di recente ha dichiarato che l’accordo realizzato non fa altro che esprimere delle idee imposte all’Europa dall’egemonia della Germania. Tutto ciò ci porta a considerare come il fiscal compact, almeno negli ultimi anni, sia diventato sinonimo di austerità. In realtà bisogna analizzarne bene i risvolti, per comprenderne il significato.

Specialmente adesso che si avvicinano le prossime elezioni europee del 25 maggio, molti esperti, che si sono sempre posti in maniera critica nei confronti dell’euro e delle politiche economiche in Europa, si sono espressi sulla necessità che il nostro Paese esca dal fiscal compact: come mai?

Che cos’è

Il fiscal compact è il trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione Europea. Questo accordo è stato firmato il 2 marzo 2012 da 25 Paesi e prevede differenti norme comuni e regole di natura economica, il cui obiettivo più importante è quello di riuscire a fare in modo che venga contenuto il debito pubblico nazionale di ogni Paese. Prima di firmare il trattato, la situazione economica all’interno dell’Unione Europea non era particolarmente florida. Molti Paesi, specialmente quelli mediterranei, si trovavano in grande difficoltà a causa della crisi. Erano stati costretti ad indebitarsi, perché le entrate fiscali non riuscivano a soddisfare tutte le esigenze determinate dalle spese. Per questo motivo questi Paesi tendevano ad offrire interessi sempre più alti agli investitori, per riuscire ad ottenere denaro in prestito.

Cosa cambia per l’Italia

Il fiscal compact non ha conseguenze soltanto per l’Italia, in quanto è in grado di determinare una reazione a catena in tutti i Paesi che hanno firmato l’accordo. Questo processo di collegamento si determina ogni volta che ogni Paese dell’euro affronta dei problemi. Se, ad esempio, si riscontrano delle difficoltà in Grecia o in Spagna, anche l’Italia ne è coinvolta, perché è spinta ad offrire un tasso di interesse più alto agli investitori. Sia a livello simbolico che concreto è come se l’Unione Europea detenesse una parte della sovranità economica di ogni Paese, agendo come un ente sovranazionale. Molti sono gli elementi previsti dall’accordo: l’inserimento del pareggio di bilancio, la regola dello 0,5 di deficit strutturale rispetto al pil, l’obbligo di mantenere al massimo al 3% il rapporto tra deficit e pil, la necessità di ridurre progressivamente il rapporto per i Paesi in cui la differenza tra debito e pil sia superiore al 60%. Molte sono state le critiche nei confronti di questi vincoli e in assoluto la norma più criticata è stata quella che prevede di ridurre il rapporto fra debito e pil di un ventesimo all’anno.

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