Coronavirus, chi aiuta davvero l’Italia? L’Europa sicuro

Da diverse settimane molte nazioni hanno messo in campo una serie di iniziative per aiutare l’Italia nella crisi sanitaria legata alla diffusione del coronavirus. Nel procedere dei giorni la preoccupazione per la situazione italiana, dapprima solo del governo nazionale, si è poi estesa ai paesi vicini e lontani. Notizia di queste ultime ore è l’intervento della Commissione Europea, forse tardivo ma sicuramente apprezzato, che ha garantito un sostegno forte e tangibile. O per meglio dire, sicuro.

“Sure” (sicuro in inglese) è infatti il nome del “nuovo programma di lavoro a breve termine che aiuterà i paesi dell’UE più colpiti, compresi Italia e Spagna e che salverà milioni di posti di lavoro durante la crisi”, ha spiegato la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen nel presentare la gradita novità di Bruxelles.

Sure, il programma di solidarietà della Commissione Europea

Facendo riferimento proprio ai due paesi europei più colpiti, Italia e Spagna, la Von Der Layen ha aggiunto “Ad esempio le regioni intorno a Milano o Madrid fanno parte della spina dorsale dell’economia europea. Migliaia di aziende forti e sane stanno lottando a causa dell’attuale crisi. Hanno bisogno del nostro supporto per superare la crisi. Questo è il motivo per cui abbiamo sviluppato un concetto di lavoro di breve durata. Ha lo scopo di aiutare l’Italia, la Spagna e tutti gli altri paesi che sono stati duramente colpiti. E lo farà grazie alla solidarietà degli altri Stati membri”.

In via generale l’idea è semplice – ha spiegato la presidente della Commissione Europea –, “se non ci sono ordini, le aziende non dovrebbero licenziare i propri lavoratori. Nel tempo libero, ai lavoratori potranno essere insegnate, ad esempio, nuove competenze che andranno anche a beneficio dell’azienda. Così le persone possono continuare a pagare gli affitti e comprare ciò di cui hanno bisogno. Questo ha un impatto positivo anche sull’economia. Potranno tornare al lavoro non appena il blocco sarà terminato, quando la domanda riprenderà e così gli ordini”.

Il concetto sembra digerito anche dalla riluttante Germania che, dalla voce del portavoce di Angela Merkel, Ulrike Demmer, commenta: “È chiaro che la solidarietà è il perno costitutivo fondamentale dell’Ue. Ci sarà uno strumento di solidarietà, sulla base del contratto europeo, adeguato a questa crisi”.

Lo stesso presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, in un’intervista a Die Zeit, ha condiviso il punto affermando che “la solidarietà è importante, anche a livello europeo”, chiarendo però successivamente che “le banche centrali possono dare alcuni importanti contributi per attutire le conseguenze economiche della crisi. Hanno però un mandato speciale sulla politica monetaria e quindi la politica non dovrebbe sentirsi scaricata della responsabilità”.

Le reticenze di molti paesi sono state superate forse con l’utilizzo della memoria: in tempi come questi, giova ricordare che ci sono sempre stati tempi come questi; nel corso del secolo scorso due strade sono state prese in casi analoghi: l’egoismo nazionale ha portato a guerre sanguinarie, l’aiuto comunitario a mezzo secolo di crescita e prosperità. Questo perché, parafrasando un proverbio antico ma saggio, se vuoi andare veloce corri da solo, se vuoi andare lontano corri assieme a qualcuno.

Le iniziative della Commissione Europea sono state accolte molto positivamente dal presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, che a margine del colloquio con Von der Layen ha commentato ai giornalisti che quello messo in campo è “uno strumento da 100 miliardi per sostenere le misure nazionali dirette a contrastare la disoccupazione e ad alimentare la cassa integrazione”. Aggiungendo come fosse fondamentale “consentire all’Italia e agli altri Stati di usare i fondi strutturali europei non ancora spesi con la più ampia flessibilità, senza più i vincoli di cofinanziamento nazionale o di particolari destinazioni funzionali o territoriali”.

Coronavirus: il piano di aiuti europei

L’iniziativa Sure si inserisce infatti in un piano di aiuti già avviato dall’Europa che prevede l’utilizzo di 11 miliardi di fondi strutturali inutilizzati. L’Italia li avrebbe dovuti restituire a breve, ma la Commissione europea, conscia del grave stato d’emergenza italiano, ha deciso di lasciarli nel nostro paese, per spenderli dove saranno più utili. Per esempio sul mercato del lavoro. Inoltre, nei giorni scorsi, la Banca Centrale Europea ha stanziato un pacchetto di emergenza da 750 miliardi di euro per alleviare l’impatto della pandemia di coronavirus.

Tali misure di sostegno vanno poi ad aggiungersi allo stop del cosiddetto “Patto di Stabilità”: sospendendo i limiti di spesa per i bilanci nazionali, ovvero la contestata regola che prevede che il disavanzo di bilancio di un paese rimanga entro il 3% del PIL, si dà ai paesi dell’UE spazio sufficiente per combattere la pandemia di coronavirus.

Maggiore flessibilità è prevista anche per la disciplina degli aiuti di Stato da quando, il 22 marzo, la Commissione europea ha approvato le misure italiane di aiuti pari a 50 milioni di euro per sostenere la produzione e la fornitura di dispositivi medici, come i ventilatori, e di dispositivi di protezione individuale, come mascherine, occhiali, camici e tute di sicurezza.
Inoltre altri 7 miliardi di euro a beneficio dell’Italia verranno forniti, sempre dalla Commissione Europea, nell’ambito della politica di coesione alla lotta contro il coronavirus.

La solidarietà all’Italia dai singoli stati

Molto scalpore hanno fatto nei giorni scorsi gli aiuti di Stati lontani dal nostro immaginario delle amicizie internazionali dell’Italia: aerei cargo carichi di mascherine, ventilatori e personale sanitario sono arrivati nel nostro paese da tutto il mondo, ma nei giornali e nei programmi televisivi si è dibattuto molto degli aiuti giunti dalla Cina, da Cuba, dalla Russia e dal Venezuela.
Se è pur vero che i doni inaspettati sono, a volte, i più graditi, occorre anche ricordarsi della massima del filosofo francese François de La Rochefoucauld: la generosità spesso non è altro che la vanità del donare.

Cina e Russia hanno infatti accompagnato il proprio contributo umanitario con la grancassa di una propaganda ben studiata, ben sostenuta anche dalla dialettica populista nostrana.

Gli aiuti della Cina

A seguito di un’attenta analisi, Milano Finanza ha individuato le società europee che hanno fatto da mediatori nell’operazione di acquisto di materiale sanitario dalla Cina. Quella che è passata per giorni come pura benevolenza cinese verso il Bel Paese, si è dimostrata, alla resa dei conti, un’operazione commerciale di compravendita. E se delle cinquanta milioni di tonnellate di aiuti europei nei primi mesi di diffusione del coronavirus il popolo cinese non ha avuto notizia dai media locali, nel nostro paese tv e social media si sono rincorsi nell’elogiare il soccorso cinese.

Gli stessi mezzi di comunicazione hanno distolto lo sguardo quando, nelle stesse ore, la Francia ha donato all’Italia un milione di mascherine e 20.000 camici protettivi o quando dalla Germania sono stato spedite circa un milione di mascherine e circa 300 respiratori, oltre agli ospedali da campo e sostegni agli ospedali impegnati in prima linea, offerto dal personale militare statunitense di stanza in Italia. Generosità, quella degli alleati, che forse viene data per scontata, ma quantomeno perplime come il milione di mascherine cinesi faccia molto più rumore dei milioni di presidi sanitari donati dai nostri vicini.
Silenzio colpevole che ha coperto anche paesi meno amici ma vicini al nostro (ma non proprio ben visti da certa propaganda) come la Turchia che ha inviato una nave e un aereo carichi di materiale medico per aiutare il nostro Paese accompagnandoli dalle parole del ministro degli esteri turco Cavusoglu: “L’Italia per noi è veramente importante. Per qualsiasi aiuto noi ci siamo”.

Gli aiuti della Russia

Anche nel caso degli aiuti russi, arrivati nelle scorse settimane, si è parlato molto dei 14 aerei giunti da Mosca che hanno portato molto personale militare e circa 30 medici (gli stessi messi in campo dalla piccola e povera Albania).
E se dei 52 medici cubani, operanti al nosocomio di Crema, si hanno continue notizie, poco o niente si sa dell’opera del personale sanitario russo: nè dove operano, nè in quali situazioni verrà impiegato il loro supporto.
Il dubbio, sollevato da molti studiosi di relazioni internazionali e di scenari di crisi, è che il verso scopo di tali iniziative, lato russo e lato cinese, sia tutt’altro che benefico. Questo anche alla luce dell’inefficacia di materiali e dotazioni impiegati.

È particolare, tra l’altro, notare come la fanfara del mondo della comunicazione non abbia accompagnato con altrettanto vigore l’annuncio del presidente Trump dell’invio di “cento milioni di dollari in materiale chirurgico, sanitario, oltre alla quota di ventilatori in eccesso prodotti negli Stati Uniti”. In parallelo lo stesso ambasciatore americano in Italia, Lewis Eisenmberg, si è mosso sul fronte privato, raccogliendo donazioni per 17 milioni e 900 mila euro da 55 tra società multinazionali, medie imprese e organizzazioni non profit negli USA (tra cui Pfizer, Eli Lilly, McDonald, Coca Cola, GE). Ancora non sono chiare le motivazioni di questa improvvisa miopia nel riconoscere l’entità e la natura degli aiuti ricevuti in questo particolare momento, ma tali situazioni spingono l’osservatore a credere di essere più in un racconto immaginario che nella realtà dei fatti, e a recitare come nel film il Padrino: “gli amici tieniamoceli stretti ma i nemici ancora di più”.

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