Come funziona il filtro antiparticolato: così l’auto fuma meno

filtro antiparticolato

Filtro antiparticolato, croce o delizia? Su questo dispositivo se ne sono dette di tutti i colori. Cerchiamo di accantonare le ideologie ed attenerci ai fatti e ai dati concreti. Useremo come fonte scientifica per questo articolo, per quanto riguarda l’efficacia dei filtri nella riduzione delle emissioni inquinanti, i risultati dello studio compiuto dall’Istituto motori del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) per conto del ministero dei Trasporti, pubblicato il 3 marzo 2016, quindi aggiornato alle più recenti evoluzioni di questa tecnologia e dei rilievi sui suoi effetti. Allora andiamo a vedere in dettaglio come funziona il filtro antiparticolato.

ENTUSIASMI E ANATEMI
Come accade fin troppo spesso, pregi e difetti di una tecnologia vengono usati come pretesti per combattere le solite guerre di religione. C’è chi ama incondizionatamente il filtro antiparticolato e chi lo odia visceralmente, per motivi quasi sempre ideologici, per partito preso. Quando si citano dei dati a sostegno delle proprie tesi, non ci si interroga sulla loro attendibilità; è sufficiente che corrispondano alle proprie idee. Se poi altri dati smentiscono le proprie convinzioni, semplicemente vengono ignorati, utilizzando solo quelli che fanno comodo.

E’ vero, soprattutto nei primi anni le procedure di rigenerazione hanno creato diversi problemi, principalmente cali nelle prestazioni e maggiore consumo di carburante, quando non veri e propri malfunzionamenti. Tuttavia oggi le cose sono migliorate parecchio. Per quanto riguarda le contestazioni sul presunto aumento delle emissioni di polveri più sottili di quelle fermate dai filtri, facciamo un esempio banale: se noi applichiamo una zanzariera ad una finestra per fermare gli insetti, non ha senso lamentarsi perché quelli piccolissimi continuano a passare dalle sue maglie. Perché quando la zanzariera non c’era passavano tutti, grandi e piccoli. Almeno ora la maggior parte resta fuori.

Così come è esagerato affermare che questi filtri trasformano i diesel in motori puliti. Non può esistere un motore pulito, come non esiste energia pulita. La magica colonnina che ricarica la vostra auto elettrica “green” da dove prende la corrente? Quanto carbone, gas e petrolio viene bruciato per produrre quell’energia con cui voi potete mettere in mostra la vostra bella facciata ecologista tanto di moda? Esistono solo motori ed impieghi dell’energia meno inquinanti o più inquinanti di altri. E’ tutta una questione di equilibri e di scelte per ottenere i migliori compromessi possibili e praticabili. Le certezze, gli assoluti e le cose facili esistono solo nella pubblicità e nella propaganda.

DI COSA SI TRATTA
Lo dice il nome stesso. E’ un sistema che elimina il particolato carbonioso, chiamato in inglese particulate matter, cioè PM. In parole povere, la fuliggine, il fumo nero allo scarico. Si tratta di un insieme di polveri derivanti da microscopiche particelle solide di carbonio, metalli, cenere, olio, solfati e idrocarburi incombusti.

Una bella massa di schifezze derivate dal processo di combustione dei derivati del petrolio. La parte più tossica di queste particelle è costituita dagli idrocarburi incombusti. I motori diesel producono questi residui in modo enormemente superiore rispetto a quelli a benzina, a causa delle proprietà intrinseche del gasolio e del modo di funzionamento di questo motore; grande responsabile della produzione di queste polveri è anche lo zolfo aggiunto al diesel; tuttavia l’Unione europea ha imposto una riduzione consistente della quantità di zolfo nel diesel dal 2009.

Inoltre i catalizzatori per i motori diesel intervengono solo su monossido di carbonio e idrocarburi incombusti tranne gli ossidi d’azoto. Quindi i filtri antiparticolato vengono applicati per il momento solo sui motori diesel, sebbene negli ultimi tempi alcune case abbiano attuato programmi per introdurli anche sui motori a benzina. Per il momento si parla di Volkswagen e Mercedes-Benz.

Quando le colpevoli amministrazioni locali bloccano il traffico perché i valori del PM10 nell’atmosfera hanno superato un certo limite, usano come pretesto proprio queste polveri. Per PM10 s’intende l’insieme di quelle polveri il cui spessore è inferiore a 10 micron (o micrometri), cioè meno di un centesimo di millimetro. Le polveri così sottili sono in grado di penetrare in profondità nei polmoni.

Sorvoliamo sul fatto che le stesse amministrazioni che ci impediscono di circolare creano le code, quindi l’aumento delle emissioni inquinanti, perché mettono semafori dappertutto a causa degli infiniti incroci causati dalla proliferazione edilizia con cui loro incassano fiumi di denaro, lecitamente e non. Quindi prima creano l’inquinamento con le proprie mani, poi puniscono noi.

IL FAP E IL DPF – CUGINI DI PRIMO GRADO
Comunemente si usa il termine FAP per indicare qualsiasi tipo di filtro. In realtà, quando parliamo genericamente della tecnologia, dovremmo dire DPF, sigla inglese che sta per Diesel Particulate Filter, appunto filtro per il particolato diesel. FAP invece è un marchio brevettato del gruppo PSA. La sigla è francese, significa Filtres à particules; una caramella a chi indovina la traduzione. Il gruppo transalpino che produce Peugeot, Citroën e DS è stato il primo ad introdurre sul mercato questa tecnologia, nel 2000 sulla Peugeot 607. Entrambi i sistemi svolgono la stessa funzione; vedremo fra poco le differenze.

ALLORA COME FUNZIONA?
Introduzione lunga ma necessaria: se non si conoscono i motivi alla base di una tecnologia, è più difficile comprenderla. Funziona così: nell’impianto di scarico, poco dopo il catalizzatore, viene applicato un filtro formato da tanti canali chiusi, le cui pareti sono composte da un materiale poroso a base di carburo di silicio.
Poiché i canali sono chiusi, i gas sono costretti ad attraversare le pareti porose; ma le polveri sono troppo grandi, così restano intrappolate nel filtro; i gas invece proseguono verso l’uscita del tubo di scarico. Naturalmente ad un certo punto i canali del filtro saranno troppo intasati dalle polveri per poter funzionare; questo accade mediamente in un intervallo tra 500 e 1000 Km. Qui la centralina di controllo prende una decisione strategica: stabilisce se è ora di pulire il filtro e agisce di conseguenza.
Perché il filtro antiparticolato si pulisce da solo. Ricordate, le polveri sono parti di gasolio non bruciato. Allora la centralina ne provoca la combustione. Quando il cilindro comincia la fase di scarico, essa immette una piccola quantità di gasolio insieme ai gas: quest’azione viene chiamata post-iniezione. Data l’alta temperatura dei gas, il carburante s’incendia, innalzando quindi ulteriormente la temperatura dei gas stessi. Questi quindi raggiungono il filtro antiparticolato ad una temperatura tale da provocare la combustione di tutte le polveri contenute nel filtro; esse perciò si trasformano in gas ed escono dalla marmitta, di conseguenza il filtro si ripulisce. Questo processo è chiamato rigenerazione e può durare da quattro a dieci minuti, a seconda del sistema usato e delle condizioni di uso del motore.

DIFFERENZE TRA FAP E DPF
Quale differenza c’è tra il FAP di PSA e gli altri DPF? Il sistema FAP usa uno speciale additivo per il gasolio, contenuto in un serbatoio a parte. Durante il rifornimento, la centralina provvede a miscelare opportunamente gasolio e additivo; esso è formato da ossido di cerio, chiamato anche cerina. Questo consente di innescare la rigenerazione ad una temperatura più bassa rispetto agli altri sistemi (circa 450 gradi contro 650); in questo modo il processo è più rapido e il filtro viene meno usurato termicamente; inoltre, proprio per questo motivo, è più facile procedere alla rigenerazione anche in città, dove le temperature dei gas sono sempre più basse. La cerina non brucia e viene conservata in un filtro supplementare che ad un certo punto andrà sostituito (tra 100 e 120.000 Km, quando si dovrà anche fare rifornimento di additivo); mentre il filtro del FAP ha una durata intorno ai 200.000 Km.

I sistemi DPF invece non usano additivi. La rigenerazione viene innescata solo attraverso ripetute post-iniezioni che portano i gas ad una temperatura più alta. Il vantaggio è un sistema più semplice ed economico. Lo svantaggio è il rendere l’olio motore eccessivamente diluito (a causa delle frequenti aggiunte di carburante nei cilindri), il che ne diminuisce il potere lubrificante. Di conseguenza diventa necessario cambiare l’olio e il suo filtro molto più spesso.

Inoltre, dovendo contare solo su una temperatura più alta, la rigenerazione funziona al meglio solo su percorsi extraurbani in cui si marcia a velocità elevata e costante per lunghi tratti. Invece in città si fa molta più fatica; infatti i maggiori problemi (oggi molto meno di ieri ma il fenomeno non è del tutto azzerato) arrivano a chi usa quasi esclusivamente l’auto in città per brevi tratti. Però va anche detto che per questo tipo di utilizzo il motore diesel non è la scelta più adatta.

IL FALSO PROBLEMA DELLE NANO-PARTICELLE
La rigenerazione, qualunque sistema si usi, ha un altro problema, in un certo senso. Durante il “rogo” delle particelle di PM10, non tutto viene bruciato. Restano spesso delle particelle più piccole, soprattutto quando la temperatura raggiunge il suo valore massimo. Si tratta delle cosiddette nano-particelle, sotto 0.2 micron; potreste averle sentite col nome di PM0.1. Queste sono talmente piccole da passare anche attraverso le pareti del filtro, e vengono immesse nell’atmosfera. E si infilano ancora più in profondità nei polmoni, negli alveoli.
Ma attenzione: non è vero che queste particelle vengono “prodotte” dal FAP-DPF. Tali particelle sono il risultato di una cattiva combustione del gasolio, e questo avviene prima, anche se il filtro non c’è. La differenza è che il filtro ne elimina la stragrande maggioranza.

Sintetizziamo le conclusioni dell’Istituto motori del CNR: durante la rigenerazione c’è un’emissione maggiore di nano-particelle rispetto al resto dell’utilizzo dello stesso motore. Però questa fase dura nel peggiore dei casi 10 minuti ogni 500 Km; il che equivale a circa l’1 o 2% dell’intero periodo di utilizzo del motore. Inoltre, anche tenendo conto della rigenerazione, le emissioni complessive restano al di sotto di quelle previste dalle norme.

CONCLUSIONE: QUANDO NON C’E’ S’INQUINA MOLTO DI PIU’
L’Istituto è ancora più chiaro nelle conclusioni generali di questo studio. Un motore diesel Euro 5 o Euro 6 con filtro antiparticolato emette circa il 95% di particelle in meno rispetto ad un motore Euro 4 senza filtro. Citiamo pari pari: “In un uso normale la concentrazione del numero di particelle allo scarico è paragonabile o inferiore a quella di tutte le altre motorizzazioni, incluse quelle a metano“. E ancora: “Le emissioni di nano-particelle di un veicolo valutate in una percorrenza media (inclusa una rigenerazione) risultano notevolmente inferiori a quelle che verrebbero emesse nell’atmosfera, dallo stesso motore, in assenza di filtro“.

Non c’è bisogno di andare oltre. Chi vuole sapere, ascolta. Chi vuole imbrogliare, urla.

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