Bambini dimenticati in auto, la psicologa a NanoPress: ‘Ecco perché succede’ [INTERVISTA]

bambini dimenticati in auto

A tutti i genitori, anche a voi che state leggendo, può succedere di dimenticare in auto i propri bambini. Nessuno escluso: in certe situazioni di stress e stanchezza possono infatti scattare dei meccanismi nel cervello tali che anche la mamma o il papà più premurosi possono scordarsi il figlio piccolo in macchina. Sembra inaccettabile, eppure è così. Non parliamo dei casi in cui lo si lascia consapevolmente qualche minuto per sbrigare una commissione (comportamento ovviamente sbagliatissimo), ma di quelli in cui proprio si rimuove la sua presenza sul seggiolino. Cosa succede e perché lo spiega in esclusiva a NanoPress la dottoressa Emanuela Perotti, psicologa psicoterapeuta, attualmente impiegata alla Asl di Rieti presso il Dipartimento salute mentale e servizio per l’età evolutiva. All’inizio dell’intervista fa una premessa: l’interpretazione di episodi del genere non è univoca e andrebbero valutati caso per caso. Ci possono essere infatti casi di gravi disturbi psichici nei genitori, la cui valutazione clinica approfondita si rende necessaria.

I casi recenti di bimbi dimenticati in auto

Dottoressa, com’è possibile che un genitore arrivi a dimenticarsi un figlio piccolo in macchina? Cosa scatta nella sua testa? Si può dare una spiegazione razionale?
“Spiegare un evento così tremendo e tragico è difficile e andrebbe valutato caso per caso per individuarne i motivi. In qualche misura sembra che però tali tragici incidenti abbiano qualcosa in comune. Si ipotizza, e io sono d’accordo, una forma di dissociazione, in cui la memoria mente a se stessa, generando i cosiddetti ricordi falsi: si può pensare di aver fatto qualcosa che in realtà non si è fatto. I meccanismi cerebrali che regolano la memoria e la coscienza sono molto complessi e può accadere ad esempio che si sia convinti di avere svolto una determinata azione in maniera automatica dandola per scontata perché la si ripete tutti i giorni, quando invece non è così. Tenere a mente simultaneamente diversi compiti può a volte determinare che, in modo non consapevole, si passi da un compito all’altro scardinando le priorità che ci attenderemmo: così nel cervello può verificarsi una sorta di black-out alla base della tragica dimenticanza, come ad esempio di accompagnare al nido un figlio o dalla baby-sitter prima di andare al lavoro”.
 
Quale può essere la causa?
“Tale sovraccarico delle funzioni mentali può probabilmente avvenire a causa del forte stress emotivo, di stanchezza, di mancanza di sonno che sono certamente fattori di rischio ma non fattori causali”.
 
C’è un target di mamme o papà più a rischio, ad esempio gente in situazione socio-economica più difficile? O può capitare a tutti, anche a un genitore modello?
“È possibile che capiti a tutti. Si è visto come sia un fenomeno che può riguardare ogni categoria sociale, genitori che sono persone presenti e premurose: non è giudicare la strada migliore, semmai provare a comprendere. A volte ci dimentichiamo di noi stessi, non diamo ascolto a come ci sentiamo, ai segnali di stanchezza che corpo e mente ci mandano silenziosamente pensando di poter controllare tutto: e purtroppo spesso ai genitori manca supporto sociale, aiuti concreti per conciliare lavoro, impegni e famiglia ma è anche difficile l’accettare di dover chiedere aiuto, quando ci si sente sopraffatti. Ciò può essere una base per provare a cambiare alcuni stili di vita”.
 
Possono esserci anche dei casi in cui ci si dimentica il figlio per una sorta di rifiuto, anche inconscio, del ruolo genitoriale?
“Ci sono alcuni colleghi che propongono motivazioni che hanno a che fare con disturbi più gravi come questa. L’interpretazione, ribadisco, non è univoca e va valutato caso per caso. Questa teoria quindi non è che non abbia senso, anzi”.
 
Per il genitore una dimenticanza del genere diventa un trauma? Come lo supera? Al di là dei casi finiti in tragedia, come la bimba morta a Firenze, dove il trauma è inevitabile.
“Per quanto riguarda i tragici eventi in cui un bambino muore è un dolore così profondo e angosciante difficile solo da immaginare. Per un genitore la morte di un figlio sentendosene in qualche modo colpevoli è un evento difficilissimo da attraversare. Non deve mancare supporto, comprensione umana: impegnarsi per gli altri può essere di conforto dando un senso alla propria dolorosissima esperienza. Anche dei casi che si concludono in maniera positiva, l’evento può essere vissuto come traumatico avendo messo in pericolo la vita del figlio, e dovendone affrontare il senso di colpa. Il genitore può temere che riaccada, e nei mesi successivi riviverlo continuamente nella memoria o durante il sonno. Poter fare riferimento alla conclusione positiva può aiutare a elaborare ciò che è capitato, trovandogli un posto nella propria esperienza”.
 
Quali sono invece le conseguenze per il bambino? Come supera il trauma?
“Per il bambino conterà molto il supporto dei genitori stessi come anche di altre figure di riferimento qualora i genitori stiano vivendo momenti difficili. Conterà poter vivere in un ambiente che comunichi sicurezza e presenza affettuosa, dando lo spazio di ascolto quando dovesse emergere (se il bambino è più grandicello) la voglia di esprimere il proprio vissuto rispetto all’evento”.

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