Amianto: bonifiche in ritardo di 20 anni in Italia

rifiuti tossici da bonificare

20 anni di ritardo. 20 anni di mancate bonifiche mentre l’amianto continua ad uccidere, insieme ad altri scarti chimici industriali. È quanto accaduto ad esempio a Balangero, in provincia di Torino, dove vi è la più grande cava di amianto d’Europa. Il lavoro di estrazione fu fermato 21 anni fa, ma ad oggi soltanto l’1 per cento di quei 314 ettari è stato bonificato.

Si tratta solo di una delle varie situazioni che da Nord a Sud fotografa lo stato impietoso delle bonifiche in Italia, come si evince da un rapporto del ministero dell’Ambiente aggiornato al 31 dicembre del 2013, 58 pagine che documentano la pesante eredità lasciata da industrie chimiche, acciaierie e discariche sul territorio italiano, mentre la popolazione spesso ignara continua ad ammalarsi e morire.

I numeri del disastro

Le cifre snocciolate dal rapporto del ministero sono impietose: dal 2000 ad oggi, nei 14 anni in cui 57 zone d’Italia, da Taranto a Sesto San Giovanni, sono state ritenute ‘siti di interesse nazionale’, e dunque necessitante bonifiche urgenti, la soffocante burocrazia ha rallentato i lavori fino a strangolare sul nascere la riqualificazione del territorio. Qualche esempio: a Piombino su 931 ettari inquinati solo 68 sono pronti per essere puliti, a Taranto 633 su 4383, a Brindisi 547 su 5851. Ed anche le bonifiche completate sono vittorie di Pirro: a Cengio, sul crinale che divide Piemonte e Valle d’Aosta, i residui di diossine, metalli e rifiuti tossici lasciati dall’Acna sarebbero stati completamente ripuliti, ma i contenitori in cui sono stati sigillati sono ancora tutti lì, secondo quanto riferisce il Wwf, tanto che la vendita dell’area a delle imprese interessate è in sospeso, in attesa di capire cosa farne di questi scarti.

I casi giudiziari

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La magistratura si occupa da decenni dei casi di amianto in Italia: l’opinione pubblica è rimasta inchiodata a seguire il Processo Eternit che ha condannato in appello a 18 anni l’imprenditore elvetico Stephan Schmidheiny, ma ci sono tanti casi di inchieste giudiziarie che riguardano proprio l’accertamento delle responsabilità sulle mancate bonifiche in varie parti di Italia. È il caso della gestione dei detriti della Maddalena in Sardegna, organizzata dall’allora capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, o la mancata bonifica di Bagnoli, il quartiere di Napoli dove sorgeva l’Italsider, per cui sono finiti sotto indagine 21 persone, tra dirigenti, imprenditori e responsabili istituzionali, poiché la rimozione delle scorie avrebbe generato un ulteriore danno ambientale. E non mancano i casi controversi: il piano bonifica dei 250 ettari dell’Ex Falck di Sesto San Giovanni, a Milano, è stato affidato alla famiglia di Giuseppe Grossi, morto nel 2011, il quale venne indagato per una vicenda di costi gonfiati nell’ambito della pulizia del quartiere milanese di Santa Giulia. Un precedente quanto meno infelice. E mentre la magistratura indaga, i burocrati cavillano, la politica discute, il territorio italiano resta sempre più sepolto dai veleni industriali.

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