Alzheimer, diagnosi in anticipo di 10 anni grazie all’intelligenza artificiale

Alzheimer

L’intelligenza artificiale può aiutare gli scienziati a diagnosticare l’Alzheimer in anticipo, ben dieci anni prima di quanto non avvenga oggi. In occasione della 24/ima giornata mondiale dell’Alzheimer, che si celebra il 21 settembre, una ricerca italiana ha guadagnato la prima pagina del Times, con una ricerca che basata sull’analisi delle risonanze al cervello e sulla ricerca di un algoritmo capace di identificare l’Alzheimer molto prima dell’apparizione dei sintomi a cui siamo abituati. A parlarne sulle pagine di New Scientist è la dottoressa Marianna La Rocca dell’università di Bari, che ha guidato il suo team di esperti insieme a Nicola Amoroso.

Come sappiamo, il morbo di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che porta alla perdita di memoria e delle funzioni cognitive, fino alla demenza. La sua cura è una sfida per i big della medicina, e al momento si procede con diverse difficoltà. Sebbene non esista ancora una cura per l’Alzheimer, una diagnosi precoce significa molto per i pazienti. La scienza medica sta provando a capire se un trattamento anticipato della malattia può ritardarne i sintomi: anche per questo la scoperta dei ricercatori baresi è di grande importanza.

Per questo la ricerca dell’università di Bari ha aperto una nuova via, tanto che sul quotidiano londinese viene salutata come ‘la svolta’, ancora di più perché, come affermato dalla stessa dottoressa La Rocca, la nuova tecnica ha anche il vantaggio di essere più economica e meno invasiva di altre finora utilizzate.

Cosa ha scoperto la ricercatrice italiana insieme alla sua squadra pugliese? Ha messo a punto un algoritmo intrecciando i dati di centinaia di risonanze magnetiche, molte delle quali di persone con Alzheimer. Alla fine dello studio, l’intelligenza artificiale è riuscita a distinguere le risonanze delle persone sane da quelle malate nell’86% dei casi. E nell’84 per cento, dato certamente molto significativo, è riuscita a diagnosticare il futuro sviluppo della malattia in coloro che ancora non avevano dimostrato sintomi. “L’intelligenza artificiale – scrivono gli autori – è riuscita a distinguere un cervello sano da uno con l’Alzheimer con un’accuratezza dell’86%, ed è anche stata in grado di dire la differenza tra cervelli sani e quelli con disabilità lieve con un’accuratezza dell’84%”.

“Oggi le analisi del liquido cerebrospinale e le tecniche di medicina nucleare possono mostrare le placche e gli ammassi neurofibrillari che ricoprono il cervello e prevedere con relativa accuratezza chi è a rischio di ammalarsi di Alzhemier entro dieci anni – ha spiegato La Rocca a The New Scientist – ma si tratta di metodi molto invasivi, costosi e disponibili solo nel centri altamente specializzati”. Invece la tecnica sviluppata a Bari, dopo essere stata perfezionata , sarà più semplice, non invasiva ed economica, e permetterà di fare diagnosi più approfondite.

Non solo, la studiosa dell’università di Bari si è detta fiduciosa che la tecnologia a base di algoritmi possa essere usata per identificare in anticipo altre malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson: “È un metodo molto versatile”, ha affermato spiegando di volerlo utilizzare in altri studi.

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