Adriano Olivetti: frasi celebri dell’imprenditore che cambiò il lavoro

Adriano Olivetti

Adriano Olivetti: frasi celebri per ricordarlo ce ne sono tante, perché oltre a essere un poliedrico imprenditore che ebbe il merito di cambiare il lavoro in Italia, era anche un uomo di ampia cultura, un intellettuale politico che nella sua vita fece pure l’editore e l’urbanista. Nato l’11 aprile 1901 a Ivrea, e morto il 27 febbraio 1960 in Svizzera (nella quale si era rifugiato dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, in quanto di origini ebraiche), prese in mano l’eredità paterna (fu l’ingegnere Camillo Olivetti a fondare a Ivrea “la prima fabbrica italiana di macchine per scrivere” nel 1908) e trasformò l’industria italiana.
I prodotti Olivetti messi in commercio tra la fine degli anni ’40 e la fine degli anni ’50 sono diventati veri oggetti di culto, non solo per la funzionalità e la qualità tecnologica, ma anche per la bellezza del design: come non ricordare la macchina per scrivere Lexikon 80 (1948) e la macchina per scrivere portatile Lettera 22 (1950)? Quest’ultima nel 1959 verrà indicata come il primo tra i cento migliori prodotti degli ultimi cento anni. Appassionato di politica, divenne un punto di riferimento culturale del periodo: scrisse il libro “L’ordine politico delle comunità”, e diversi saggi pubblicati con il titolo “Città dell’Uomo”.
Prima di morire Olivetti fece in tempo a ricevere numerosi riconoscimenti, come il Compasso d’Oro nel 1955, per meriti in campo dell’estetica industriale e, l’anno dopo, il Gran Premio di architettura per “i pregi architettonici, l’originalità del disegno industriale, le finalità sociali e umane, presenti in ogni realizzazione Olivetti”. Portando l’azienda a divenire un vero e proprio colosso internazionale, Adriano Olivetti divenne famoso anche per i suoi discorsi e le sue frasi. Abbiamo raccolto di seguito quelle più belle e celebri.

– Io voglio che lei capisca il nero di un lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che cosa fanno gli altri [rivolto a Furio Colombo, ndr].

– Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva, non giovi a un nobile scopo.

-La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica.

– Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande.

– A volte, quando lavoro fino a tardi vedo le luci degli operai che fanno il doppio turno, degli impiegati, degli ingegneri, e mi viene voglia di andare a porgere un saluto pieno di riconoscenza.

– Conoscevo la monotonia terribile e il peso dei gesti ripetuti all’infinito davanti a un trapano o a una pressa, e sapevo che era necessario togliere l’uomo da questa degradante schiavitù. Bisognava dare consapevolezza di fini al lavoro.

– Ho cercato di portare avanti la missione per far finire il regno del denaro nella società industriale.

– Chi opera secondo giustizia opera bene e apre la strada al progresso. Chi opera secondo carità segue l’impulso del cuore e fa altrettanto bene, ma non elimina le cause del male che trovano luogo nell’umana ingiustizia.

– C’è una crisi di civiltà, c’è una crisi sociale, c’è una crisi politica. L’ingranaggio della società che è stato rotto nell’agosto 1914 non ha mai più funzionato, e indietro non si torna. Come possiamo contribuire a costruire quel mondo migliore che anni terribili di desolazione, di tormenti, di disastri, di distruzione, di massacri, chiedono all’intelletto e al cuore di tutti?

Adriano Olivetti frasi

– Molte coscienze inquiete sono oggi in crisi, in una crisi dolorosa, perché per esse i partiti non hanno rispettato la verità, non hanno avuto tolleranza e hanno in qualche modo tradito gli stessi ideali dai quali erano nati.

– La Comunità sarà un valido, nuovo strumento di autogoverno, essa nascerà come consorzio di comuni. E le Comunità, federate, daranno luogo, esse sole, alle Regioni e allo Stato.

– Un governo espresso da un Parlamento così povero di conoscenze specifiche non precede le situazioni, ne è trascinato.

– Alla fine del fascismo la maggior parte degli intellettuali vedeva nei partiti uno strumento di libertà. Io no. Sono organismi che selezionano personale politico inadeguato.

– Abbiamo portato in tutti i paesi della comunità le nostre armi segrete: i libri, i corsi culturali, l’assistenza tecnica nel campo della agricoltura. In fabbrica si tengono continuamente concerti, mostre, dibattiti. La biblioteca ha decine di migliaia di volumi e riviste di tutto il mondo. Alla Olivetti lavorano intellettuali, scrittori, artisti, alcuni con ruoli di vertice. La cultura qui ha molto valore.

– Occorre superare le divisioni fra capitale e lavoro, industria e agricoltura, produzione e cultura.

– Ho immaginato una Camera che soddisfi il principio della rappresentanza nel senso più democratico; e poi sappia scegliere ed eleggere un senato composto dalle persone più competenti di ogni settore della vita pubblica, della economia, dell’architettura, dell’urbanistica, della letteratura.

– Percorsi rapidamente, in virtù del privilegio di essere il figlio del principale, una carriera che altri, sebbene più dotati di me, non avrebbero mai percorsa. Imparai i pericoli degli avanzamenti troppo rapidi, l’assurdo delle posizioni provenienti dall’alto.

– Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?

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