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Coronavirus: la paradossale debolezza della generazione Z

Tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa, dal non sapere starsene in pace, in una camera. Così, Blaise Pascal, fisico e filosofo francese del XVII secolo, descriveva la condizione umana. Infatti, mai pensiero fu più attuale, l’insofferenza generale sta già dando i primi segni. Sono già molte le denunce, gli arresti e le violazioni al decreto per arginare la diffusione del coronavirus.

La generazione Z, generalmente circoscritta tra i nati nella seconda metà degli anni ’90 e la fine degli anni 2000, come quella precedente, sono caratterizzate da un diffuso utilizzo di Internet quasi sin dalla nascita. I membri della Generazione Z sono considerati come avvezzi all’uso della tecnologia e i social media, che incidono per una parte significativa nel loro processo di socializzazione. Secondo tali premesse, per questa generazione dovrebbe essere facile la quarantena che sta affrontando, avendo a disposizione strumenti e tecnologie in grado di mantenerci collegati gli uni agli altri. Nonostante ciò, la realtà dice il contrario. Infatti, numerose sono le denunce per la circolazione non autorizzata e altrettanti gli arresti o, ancora, aggregazioni illecite. Un esempio lampante è il flashmob tenutosi a Bari, con tanto di fumogeni, dove, ovviamente, non si sono rispettate le norme in vigore contro il coronavirus. Insomma, in una situazione di grave emergenza, ci si affida alla responsabilità di ogni singolo cittadino, che in molti casi sta venendo meno.

 

La scienza non è nient’altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell’umanità. (Nikola Tesla)

 

La continua ricerca di approvazione

Uno dei fattori che può spiegare questo paradosso è il potere della tecnologia stessa. Infatti, ormai abituati ad un feedback spasmodico con l’altro e il continuo bisogno di nuovi input esterni. Tali effetti, ci hanno spinto ad un livello di sopportazione di noi stessi molto basso, incapaci dunque, di fare i conti con i propri pensieri. Quindi, abbiamo perso la capacità di usare la nostra mente a partire da zero, non più avvezzi al pensiero creativo senza influenze esterne, non riusciamo ad usare questo tempo a disposizione per coltivare passatempo o passioni. Altro fattore fondamentale è  la naturale socievolezza dell’uomo, che secondo la definizione Simmel è la disposizione naturale alla vita associata, e basata su quella aristotelica dell’uomo come un animale politico. Neanche la grande presenza della tecnologia nelle nostre vite, in una società cosi individualistica come quella occidentale, riesce ad annichilire la naturale predisposizione dell’uomo al contatto con l’altro. Tale caratteristica è inalienabile per lo sviluppo cognitivo ed il benessere psico-fisico dell’uomo stesso.

Ecco, dunque, che la reclusione forzata ci crea così tanti problemi, dal momento in cui ci obbliga alla convivenza con noi stessi senza distrazioni, rendendo lento lo scorrere del tempo. Da queste restrizioni alla nostra libertà di aggregazione, a causa del dilagare del coronavirus, possiamo prendere spunto per plasmare e controllare tali psicosi individuali. Così da uscire da questo periodo più forti di prima.

Francesco Stavolo

Classe 1994, laureando in Scienze Politiche e Sociologia presso l'università di Roma la Sapienza. Redattore e copywriter SEO.

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