Il Museo del Prado di Madrid ha deciso di dedicare la propria riapertura dopo il lockdown alle donne. Per farlo ha pensato allo studio critico della misoginia nel mondo dell’arte: un viaggio che rivendica il ruolo delle donne, fortemente osteggiato dal sistema artistico spagnolo nel XIX e all’inizio del XX secolo. La mostra, intitolata Invitadas (“Invitate”), è iniziata il 6 ottobre, resterà aperta fino marzo 2021, ma è già stata bersaglio di numerose critiche.
Il problema non è solo il numero delle opere effettivamente appartenenti a donne: solo 60 su 134, considerate insufficienti dal momento che l’idea stessa dell’esposizione dovrebbe essere la rivendicazione dell’opera femminile in un sistema che condannò all’ostracismo artisti come Antonio Fillol o Aurelia Navarro.
Questo “viaggio critico attraverso la misoginia“, come cita la locandina di Invitadas, cui il sottotitolo è “Frammenti circa le donne, l’ideologia e le arti visive in Spagna (1833-1931)“, è stato criticato aspramente da otto studiose e accademiche perché, nonostante la dichiarazione di intenti, sarebbe una celebrazione della misoginia stessa. Questo perché, per quanto rilevante l’auto-critica del Prado, che ammette di aver marginalizzato le artiste donne per secoli, il punto di vista “misogino” rischia di perpetuare il comportamento stesso.
“Nella mostra si presentano tutte le degradazioni possibili del femminile”, scrive la docente dell’Università autonoma di Madrid, Rocío de la Villa, nella lettera che le critiche hanno inviato all’istituzione museale: “Infantilizzate, prostituite, oltraggiate, vittime di pedofilia, disprezzate, schiavizzate, nude. Un catalogo pieno di morbosità, e non molto diverso dalla cultura visiva attuale”.
“La mostra non è un palcoscenico per le sole artiste. È un modo per fornire un contesto: il più grande problema delle artiste donne nel passato era che lo Stato le tagliava completamente fuori, riducendole a decoratrici, miniaturiste. Oggi non si comprende perché, per questo il contesto è importante”, spiega il curatore della mostra Carlos G. Navarro al The Guardian. La giustificazione per la scarsa rappresentanza femminile e per la reiterazione del punto di vista machista, quindi, sarebbe il contesto, secondo il curatore.
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