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Politica

In Parlamento ci saranno meno donne rispetto al 2018

Nel Parlamento che verrà, il primo che dovrebbe votare la fiducia a un esecutivo guidato da una donna – Giorgia Meloni, sì -, le quota rosa sono diminuite non solo rispetto alla precedente legislatura (in cui si era segnato il record di deputate e senatrici), ma anche in confronto a vent’anni fa.

Maria Elisabetta Alberti Casellati – Nanopress.it

Sono solo 193 le donne elette tra Camera e Senato, appena il 32,2% considerando il taglio dei parlamentari, meno anche della media del Parlamento europeo. La “disparità di genere“, il contrario di quello che la legge elettorale prevede, si nota soprattutto in Fratelli d’Italia, il partito dell’aspirante prima presidentessa del Consiglio donna della storia della Repubblica italiana.

Nel prossimo Parlamento, meno di un membro su tre è una donna

La legislatura che consentirà alla prima donna nella storia della Repubblica italiana di avere la maggioranza per poter formare un governo non è la più femminile (sul femminista c’è un dibattito piuttosto acceso) che si vedrà e anche che si è vista. Anzi: è l’esatto contrario. Dal 2018, la percentuale delle elette tra Camera e Senato è sceso di più del 3% con 193 deputate e senatrici che si insedieranno il 13 ottobre contro le 334 della passata legislatura.

Certo, alle elezioni politiche di quattro anni e mezzo fa i posti “in palio” a Montecitorio e Palazzo Madama erano 945 contro i 600 attuali, ma più di un terzo dei membri del Parlamento era comunque una donna, cosa che adesso non è. Solo il 32,2% contro il 35,3% della passata esperienza parlamentare appartiene alle cosiddette quote rosa, meno anche della media del Parlamento europeo, presieduto da una donna, Roberta Metsola, tra l’altro.

Giorgia Meloni – Nanopress.it

Un arretramento che non si vedeva da oltre vent’anni: dal 2001, infatti, il numero di elette era sempre cresciuto, mentre adesso il segno è negativo. E a pesare, nel computo finale, sono soprattutto le compagne di partito di Giorgia Meloni, giusto 52 su un totale di 185 deputati e senatori di Fratelli d’Italia è donna, in pratica il 28,1%.

Meglio sono andate le cose per il terzo polo, ovvero la lista formata da Azione e Italia Viva, quindi di Carlo Calenda e Matteo Renzi, in cui il 46% degli eletti è femmina (14 donne su 30 parlamentari), motivo d’orgoglio anche per il frontman che su Twitter ha parlato di “una quasi perfetta parità di genere“.


Bene anche il MoVimento 5 stelle di Giuseppe Conte, sotto di un punto percentuale rispetto ai due ex Pd, che ha eletto 36 donne su 80 deputati e senatori. Poi, (quasi) il vuoto. Perché in questa speciale classifica della mappa di genere c’è Noi Moderati, e solo dopo il Partito democratico di Enrico Letta e l’alleanza Sinistra Italiana ed Europa Verde di Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli ed Eleonora Evi al 31%.

Che il nuovo Parlamento sia per lo più a trazione maschile forse è dato (anche) dal fatto che la coalizione che ha vinto le elezioni si trova all’ultimo posto per quanto riguarda le elette. Oltre a Fratelli d’Italia, infatti, è andata male anche Forza Italia di Silvio Berlusconi e la Lega di Matteo Salvini, che si aggirano intorno al 30% di donne deputate e senatrici.

Per il Parlamento meno femminile pesa la legge elettorale

Non solo, però. Nonostante il Rosatellum, ovvero la legge elettorale piuttosto discussa, preveda infatti un’alternanza maschio-femmina nella presentazione delle liste, sia ai collegi uninominali sia a quelli plurinominali, un inghippo ha consentito che si creasse questa situazione: la possibilità di candidare un determinato politico in più di una circoscrizione (fino a un totale di sei).

Un esempio concreto è dato dalla stessa Meloni. La futura premier era candidata al maggioritario in Abruzzo e in altre cinque collegi plurinominali come capolista. Ecco, in quelle circoscrizioni a risultare eletti sono stati i secondi, che erano uomini, appunto.

Secondo Federico Fornaro, deputato di Articolo 1, però, ha inciso anche il taglio dei parlamentariche ha ridotto di conseguenza anche i collegi plurinominali creando uno squilibrio strutturale“.

Questi numeri, tra l’altro, preoccupano perché nella classifica del World economic forum sul political empowerment, l’Italia è al 36esimo posto per la dis-parità di genere in Parlamento. La leader di Fratelli d’Italia sarà la prima donna a Palazzo Chigi dal 1948, in pratica in quasi 75 anni di storia repubblicana. Ma anche negli altri ruoli apicali non siamo messe molto meglio.

Alla presidenza del Senato, l’unica e sola è stata Maria Elisabetta Alberti Casellati nella passata legislatura (e in quota Forza Italia), alla Camera, invece, su 15 sono state solo tre le donne ad avere lo scranno più alto: Nilde Iotti, Irene Pivetti e per ultima Laura Boldrini. Nell’esecutivo, su 1550 incarichi di 67 governi diversi, le donne a capo di un Ministero sono state circa un centinaio, la metà senza portafoglio – e stando alle previsioni le cose non dovrebbero migliorare neanche nel prossimo governo.

A livello territoriale, la situazione non sorride ancora alle donne: solo in una regione su 19 e due Province autonome, governa una donna – si tratta della leghista Donatella Tesei in Umbria. E sono poche anche le sindache, nonostante l’exploit di Chiara Appendino a Torino e Virginia Raggi a Roma del 2016 (tutte e due sostituite da un uomo alle ultime amministrative).

Mariacristina Ponti

Nata nel lontano 1992, nel giorno più bello per nascere, a Cagliari. Dopo la maturità scientifica, volo a Padova e poi a Roma per studiare lettere. Nella Capitale poi rimango anche per il master in giornalismo. Tra stage a profusione, sempre nelle redazioni sportive, anche se il vero amore è sempre stato la politica, ho ancora da ritirare un tesserino da professionista.

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