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Come siamo arrivati al caso Aquarius? La verità sui numeri e i risultati dei programmi europei per i rifugiati

[didascalia fornitore=”Ansa”]Migranti arrivati a Catania[/didascalia]

Non si parla d’altro e quindi è sacrosanto non poterne più di leggere l’ennesima analisi sulla questione dei migranti, ma è altrettanto necessario chiedersi come si sia arrivati a questo punto, come si sia arrivati al caso Aquarius. È importante soprattutto oggi, nella Giornata Mondiale del Rifugiato, partendo proprio dalle parole, così spesso dimenticate. I migranti non sono i rifugiati, o almeno non tutti i migranti sono, o diventeranno mai, rifugiati. Anche per questo motivo è stata creata la Carta di Roma, che fornisce ai media un glossario, dove viene sottolineato l’imprescindibile distinguo tra migrante irregolare, colui che cerca in un altro paese una condizione migliore di quella di partenza, un richiedente asilo, ovvero colui che richiede il riconoscimento dello status di rifugiato, e il rifugiato, ovvero chi, temendo di essere perseguitato nel suo paese d’origine, non può tornare per paura d’essere vittima di persecuzione. Eppure in questi giorni c’è stata molta confusione, sui programmi comunitari, sul trattato di Dublino, su chi dovesse intervenire, su chi dovesse fare cosa e come si potesse fare.

La percezione del fenomeno migratorio è molto cambiata nell’ultimo periodo, forse perché il tema è stato uno dei protagonisti della campagna elettorale che ha portato, dopo le elezioni dello scorso 4 marzo, un partito come la Lega a trainare il centrodestra e poi il Governo. I numeri però sono chiarissimi, e sono pubblicati e consultabili su tutti i siti governativi: mettendo a confronto i dati del 2016 con quelli del 2018, aggiornati al 31 maggio, si registra una flessione degli sbarchi del 71,95% e del 77,7% rispetto all’anno scorso. Contando che dei 60.228 arrivati, 58.258 sono arrivati dalla Libia, gli accordi del precedente Governo hanno sicuramente influito, senza entrare nel merito delle numerose segnalazioni di mancato rispetto dei diritti umani proprio in Libia, arrivate dalle più importanti ONG del mondo. Quindi, la domanda sorge spontanea: perché sembra che tutti abbiano più paura di prima degli sbarchi? Perché si parla di patti non rispettati dall’Europa?

Il numero di rifugiati in Europa, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), cioè l’agenzia delle Nazioni Unite specializzata nella loro gestione, registra 5,2 milioni di rifugiati sul territorio europeo. I dati sono del 2016 ma possiamo intuire subito che, rispetto alla popolazione europea, l’impatto è molto basso. La Svezia ha il rapporto più alto con 23,4 rifugiati ogni 1000 abitanti, Malta arriva al secondo posto con 18,3. In Italia il rapporto è ancora minore: poco più di 2 ogni 1000 abitanti sono rifugiati, 147.370 in totale. La Germania, ad esempio, con i suoi 669.482 ha un rapporto di 8,1 ogni 1000 abitanti. Quindi perché si sente parlare di abbandono dell’Europa in materia di migranti?

Fino adesso, anche se potrebbe essere oggetto di ridiscussione a breve, sul territorio europeo, in materia di accoglienza e gestione del flusso migratorio, vige la Convenzione di Dublino, che stabilisce la determinazione dello stato competente per l’esame di una domanda di asilo in uno degli stati membri delle Comunità Europee. Secondo quanto stabilito, l’esame delle domande d’asilo spetta al paese di primo ingresso. Ovviamente, i paesi nell’area del Mediterraneo sono quelli che devono gestire il maggior numero di richieste. Per questo motivo era stato stabilito il programma di ricollocazione, proprio per venire incontro all’Italia e alla Grecia, per ragioni geografiche più soggette al fenomeno migratorio. Si tratta di una parziale deroga al Regolamento stabilito dal trattato di Dublino. I richiedenti di protezione internazionale provenienti da paesi che hanno un tasso di riconoscimento dello status di rifugiato superiore al 75%, secondo i dati Eurostat dell’ultimo quadrimestre, possono essere trasferiti in uno Stato membro, secondo le quote messe a disposizione dai Paesi che hanno aderito. I problemi di questo programma sono subito identificabili: il fattore temporale, perché il fenomeno migratorio è in costante cambiamento quindi può non includere paesi che invece adesso ne hanno più bisogno di altri, e quello selettivo sulla provenienza. La maggior parte di chi può beneficiare di questo programma proviene dall’Eritrea e dalla Siria, mentre sappiamo che, da tempo, gli sbarchi maggiori, soprattutto in Italia, vengono da altri Paesi. Leggendo l’ultimo rapporto Sprar abbiamo un quadro preciso dei risultati ottenuti finora: “Il programma di ricollocazione, previsto dall’Agenda
europea, il cui obiettivo era quello di alleggerire la pressione dei flussi sui due principali Paesi di ingresso, Italia e Grecia, si è dimostrato fallimentare. Infatti a fronte di 160.000 ricollocazioni previste dai due Paesi, a settembre 2017 se ne sono registrate appena 29.134 di cui solo 9.078 dall’Italia. Germania, Francia e Paesi Bassi sono quelli che hanno contribuito maggiormente ad accogliere, mentre Polonia ed Ungheria non hanno accolto nessuno”
.

Bisogna precisare che dalle premesse iniziali e dai suoi obiettivi sono cambiate le cifre: il numero è passato dalle 160.000 persone totali iniziali a 120.000, in un periodo di due anni. La rotta che doveva essere coperta dalla deroga infatti era quella balcanica, dove, grazie agli accordi con la Turchia, gli sbarchi si sono drasticamente ridotti. Inoltre, come accennavamo prima, moltissime persone che arrivano in Italia non rientrano in quella percentuale del 75%. Dal Rapporto Sprar si nota come la Nigeria sia il primo paese d’origine dei migranti, seguiti da Bangladesh, Guinea, Costa d’Avorio e Gambia. Tra le domande di protezione internazionale esaminate in Italia dalle Commissioni Territoriali nel 2016, più della metà ha registrato un diniego. Come possiamo vedere dall’ultima tabella pubblicata, il programma di ricollocazione non ha ancora raggiunto i numeri previsti: 21,999 dalla Grecia e 12,692 dall’Italia. Ci sono poi i casi limite: Polonia e Ungheria non hanno accolto nessuno e la Corte europea di Giustizia ha respinto i ricorsi di Slovacchia e Ungheria contro il meccanismo provvisorio di ricollocazione obbligatoria dei richiedenti asilo.

Ad oggi il programma non è stato confermato, non sappiamo quindi cosa succederà a tutte quelle persone che arriveranno dopo settembre. Nonostante il numero inferiore degli sbarchi rispetto agli altri anni, risulta evidente che i programmi messi in atto fino adesso non siano stati sufficienti per gestire nel miglior modo possibile un fenomeno che non smetterà, che anzi cambierà continuamente e che richiede l’intervento massiccio di tutte le forze europee perché non può essere gestito solo da alcuni paesi e non da altri: i rifugiati riguardano tutti, non sono pacchi, sono persone.

Simona Buscaglia

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