Una storia di ordinaria burocrazia? Proprio no. Una caso limite, se così vogliamo definirlo, in cui ad essere coinvolto è un cittadino britannico, ieri uomo, oggi donna. Tutto nasce nel 1991 quando l’uomo già sposato sente di diventare donna. Nel 1995 un’operazione consacra il suo desiderio. Ma ad età pensionabile, non avendo messo nero su bianco il cambio di sesso e non avendo annullato il matrimonio, diventa un caso per cui i giudici nazionali rimbalzano la sua richiesta di accedere alla pensione di anzianità.
Per la Corte di giustizia europea, però, il diritto britannico presenta discriminazioni. Una discriminazione diretta fondata sul sesso. Per loro, chi ha cambiato sesso, non può essere costretto ad annullare il matrimonio contratto precedentemente alla scelta sessuale per poter beneficiare della pensione prevista da ordinamento. Inoltre, da un punto di vista strettamente “previdenziale“, la situazione di una persona che ha cambiato sesso dopo essersi sposata, e quella di una persona sposata che ha conservato il suo sesso di nascita, sono comparabili.
La Corte precisa quindi che la finalità della condizione dell’annullamento del matrimonio “è estranea al sistema pensionistico“, e quindi la pensione va riconosciuta a prescindere dallo stato civile.
Il Regno Unito dovrà quindi rispettare le regole comunitarie. La Corte ritiene che la normativa del Regno Unito non lo faccia, in quanto “concede un trattamento meno favorevole a una persona che ha cambiato sesso dopo essersi sposata che ad una persona che ha conservato il sesso di nascita ed è sposata“. Sarà dunque pensione senza dover annullare matrimonio.
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