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Totò Riina, il tribunale dice no alla scarcerazione. Il boss alla moglie: ‘Non mi pentirò mai’

Totò Riina non verrà scarcerato perché, nonostante l’età e la malattia, è ancora pericoloso. La decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna, arrivata nel 25° anniversario della strage di via D’Amelio e nel giorno degli arresti al clan di Brancaccio che ha colpito il patrimonio della famiglia Riina, mette la parola fine alle polemiche sollevate dalla decisione della Cassazione di accogliere la richiesta del legale di Cosa Nostra. Gli avvocati avevano chiesto di valutare un differimento pena o di detenzione domiciliare per via delle condizioni di salute del boss di Corleone. Ora i giudici hanno deciso di rigettare le loro richieste e hanno confermato il regime di 41 bis nel reparto riservato ai detenuti malati a Parma. “Salvatore Riina è ancora in grado di intervenire nelle logiche di Cosa Nostra“, nonostante le sue condizioni di salute e l’età avanzata e “va quindi ritenuta l’attualità della sua pericolosità sociale“, si legge nella decisione. A conferma, viene citata una conversazione avuta con la moglie lo scorso 27 febbraio. “Non mi pento, a me non mi piegheranno. Io non voglio chiedere niente a nessuno Mi posso fare anche 3000 anni no 30 anni“, le sue parole.

Le sue parole e gli arresti dimostrano quanto sia ancora potente la figura del Capo dei capi, ultra ottantenne e malato. “Può morire da un momento all’altro all’improvviso“, avevano chiarito i medici che lo hanno in cura qualche giorno prima della sentenza.

Per il tribunale di sorveglianza di Bologna, Riina “non potrebbe ricevere cure e assistenza migliori in altro reparto ospedaliero ossia nel luogo in cui ha chiesto di fruire della detenzione domiciliare“, scrivono i giudici nell’ordinanza con cui rigettano le istanze di differimento della pena. Per i giudici è “palese” che a Parma sia garantita “l’assoluta tutela del diritto alla salute sia fisica che psichica del detenuto“.

Quello che più conta nelle parole dei giudici è la conferma, nero su bianco, del grado di pericolosità del boss mafioso. Le parole colte durante un colloquio con la moglie Antonietta Bagarella, quel “non mi pento”, il “non mi piegheranno” e quel sottolineare di non aver bisogno di nessuno non lasciano spazio a dubbi.

La notizia del no alla scarcerazione di Riina arriva nello stesso giorno degli arresti che hanno colpito il clan Brancaccio e soprattutto i beni materiali del boss di Cosa Nostra: 34 gli arresti eseguiti dalla Polizia di Stato e dalla Guardia di Finanza di Palermo, in esecuzione di un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal Gip di Palermo, nell’ambito di indagini coordinate dalla locale Dda, avvenuti in Sicilia, Toscana, Lazio, Puglia, Emilia Romagna e Liguria.

Gli agenti hanno sequestrato beni per un valore di 1,5 milioni alla famiglia Riina. Tra i beni sequestrati c’è anche la villetta di Mazara del Vallo dove il boss trascorse parte della latitanza. Le indagini sono partite dagli accertamenti sui redditi dichiarati negli anni da Riina e i suoi familiari che hanno dimostrato come abbia avuto a disposizione enormi quantità di denaro anche se in carcere in regime bis dal 1993.

Come evidenziato dalle indagini, la moglie di Riina ha emesso tra il 2007 e il 2013 assegni per oltre 42mila euro a favore di familiari in carcere, compreso il figlio maggiore Giovanni, che sconta l’ergastolo, e il più piccolo, Giuseppe, ora tornato libero dopo aver scontato la pena.

Lorena Cacace

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