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Tasse sulla benzina in Italia: dall’Iva alla guerra in Etiopia

Il prezzo della benzina come quello degli altri carburanti per autotrazione è notoriamente composto per una notevole percentuale da imposte. In questo non c’è differenza fra le varie nazioni. Ciò che cambia è il peso della componente fiscale sul prezzo finale che il consumatore deve pagare.

Sappiamo che l’Italia è una delle nazioni con la maggiore imposizione fiscale al mondo, in particolare sui carburanti. E’ invece meno diffusa la conoscenza dei dettagli, anche perché il mondo politico e tutto il sottobosco che da esso viene mantenuto hanno tutto l’interesse a tenerli ben nascosti. Vediamo quante e quali sono le tasse che ci affliggono quando ci rechiamo alla stazione di servizio.

COME SI FORMA IL PREZZO DELLA BENZINA
Cominciamo dalla composizione del prezzo. In Italia le imposte sui carburanti sono divise in due categorie: l’Iva e le famigerate accise, cioè imposte straordinarie create per finanziare uno scopo specifico; insieme esse totalizzano il 66,39% del prezzo finale della benzina e il 63,74% di quello del gasolio. La differenza è sostanziosa rispetto alla media delle nazioni europee. Ad esempio, al momento in cui scriviamo l’ultima rilevazione Ue (30/5/2016) calcolava un prezzo medio di 1,477 euro per un litro di benzina e di 1,118 per il gasolio. La media delle imposte è rispettivamente di 0,779 e 0,641 euro. In Italia invece abbiamo 1,004 e 0,854 euro. Quindi le imposte italiane sono superiori alla media europea di 0,225 e 0,213 euro al litro.

In altri termini: su un ipotetico pieno di 50 litri, rispetto agli altri europei noi italiani paghiamo 11,25 euro in più per la benzina e 10,65 per il diesel, di sole imposte. Che in percentuale non diminuiscono mai; quindi anche quando il prezzo del petrolio cala, noi continuiamo a pagare più degli altri. In questa poco edificante classifica, l’Italia è il settimo paese al mondo con la benzina più cara e il sesto per quanto riguarda il gasolio.

LA TASSA SULLA TASSA
L’Iva come sappiamo ammonta attualmente al 22%. Qui c’è un sistema di calcolo che definire ingiusto è fargli un complimento. Poiché Iva significa imposta sul valore aggiunto, logica vorrebbe che il calcolo venisse fatto sul prezzo industriale, cioè la parte che va a produttori e distributori; poi si aggiungono le accise, che sono fisse. Invece no: si sommano prezzo industriale e accise e sul totale si calcola l’Iva. Quindi noi paghiamo una tassa sulla tassa. Siamo in una democrazia? C’è da dubitarne.

ACCISA: VECCHIA, BRUTTA E CATTIVA
Passiamo all’ennesimo capolavoro dell’apparato pubblico italiano: le accise. Politici e burocrati vogliono farci credere che ne esista una sola, poiché la chiamano al singolare, accisa. Questa parola deriva dal latino “accidere”, che significa cadere sopra. Infatti l’accisa è un’imposta sulla produzione o sul consumo di un bene. Per quanto riguarda i carburanti, è calcolata al litro.

Dicevamo che l’accisa viene istituita generalmente come metodo straordinario per finanziare una specifica esigenza pubblica temporanea, come ad esempio i danni derivanti da terremoti o alluvioni particolarmente gravi. In teoria, quando quella necessità cessa di esistere (quindi al termine delle riparazioni), dovrebbe essere anche abolita la relativa accisa. In Italia invece non è mai accaduto. Continuiamo a pagare per eventi di molti decenni fa che non hanno più incidenza odierna.

Attualmente l’accisa è unificata in 0,728 euro al litro sulla benzina, 0,617 sul gasolio per autotrazione e 0,147 euro sul GPL. Sul metano per autotrazione è invece di 0,003 euro al metro cubo.
Inoltre le regioni possono decidere un’accisa addizionale. Attualmente sono le seguenti, sempre in euro al litro: Calabria 0,02582; Campania 0,02582; Lazio 0,02582; Liguria 0,05; Marche 0,02; Molise 0,02582; Piemonte 0,026.
Dicevamo che vogliono farci credere che l’accisa sia una sola. No, è falso. E’ la somma di tutte le accise stratificate varate in passato e mai abolite. Sono ben 17. Ripetiamo: le stiamo pagando tutte ancora oggi. Elenchiamole.

TUTTE LE ACCISE ITALIANE: ANCORA ETIOPIA E SUEZ
0,000981 euro – guerra d’Etiopia del 1935-1936
0,00723 euro – crisi di Suez del 1956
0,00516 euro – disastro del Vajont del 1963
0,00516 euro – alluvione di Firenze del 1966
0,00516 euro – terremoto del Belice del 1968
0,0511 euro – terremoto del Friuli del 1976
0,0387 euro – terremoto dell’Irpinia del 1980
0,106 euro – guerra in Libano del 1983
0,0114 euro – missione in Bosnia del 1996
0,02 euro – rinnovo contratto degli autoferrotranvieri del 2004
0,005 euro – acquisto di autobus ecologici nel 2005
0,0051 euro – terremoto dell’Aquila del 2009
0,0073 euro – manutenzione beni culturali, enti ed istituzioni culturali nel 2011
0,04 euro – arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011
0,0089 euro – alluvione in Liguria e Toscana nel novembre 2011
0,082 euro (0,113 sul diesel) – decreto Salva Italia nel dicembre 2011
0,02 euro – terremoti dell’Emilia del 2012

Avete letto bene, guerra d’Etiopia 1935-1936. E ci paghiamo sopra anche l’Iva al 22%. Ogni ulteriore commento è superfluo.

Roberto Speranza

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