Il tetto fissato a 240mila euro per il pagamento degli stipendi dei dipendenti della Camera potrebbe valere soltanto fino al 31 dicembre del 2017. Nonostante quanto contenuto nella spending review, in seguito a un ricorso presentato al collegio d’appello di Montecitorio, è stato deciso quasi all’unanimità (ad esclusione del M5S) che il tetto alle retribuzioni pagate dallo Stato avrà valore ”esclusivamente temporaneo”. Ciò significa che alla data di scadenza, nel caso in cui non sia presentato un nuovo documento che attesti il limite degli importi degli stipendi, dal 1 gennaio 2018 i dipendenti del Parlamento potrebbero tornare a ricevere stipendi da capogiro.
Chi ha votato il ricorso?Il collegio d’appello di Montecitorio è composto da cinque onorevoli, ovvero Giuseppe Lauricella (Pd) Giuseppe Galati (ALA, ex FI), Gaetano Piepoli (Centro democratico) Mario Guerra (Pd, e anche il Presidente) e Alfonso Bonafede (M5S), l’unico che non ha sottoscritto la sentenza. Il ricorso era stato presentato da circa l’80 per cento dei dipendenti di Montecitorio, ma va ricordato che prima della Camera, anche al Senato l’organo d’appello competente aveva deciso allo stesso modo.
Sciopero contro la spending reviewE in via preventiva i dipendenti di Montecitorio hanno deciso di protestare contro i tagli previsti dalla spending review con uno sciopero bianco: lavoro a rilento e niente più straordinari. Quello che non va giù è l’abbassamento del totale guadagnato. I consiglieri parlamentari mal sopportano il futuro abbassamento degli introiti da 354mila euro a 240mila. Centralinisti, commessi, uscieri e barbieri di Montecitorio si vedranno tagliare il loro compenso annuale da 136mila euro a 99mila, i dipendenti ”tecnici” come elettricisti e informatici guadagneranno 106mila euro rispetto agli attuali 152mila, e tutti sono sul piede di guerra, anche se gli italiani non sembrano essere solidali con chi vuole a tutti i costi mantenere certi privilegi.
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