Nel 2012 aveva messo incinta la figlia di 13 anni e dopo averla fatta abortire era scappato in Svezia, dove i poliziotti lo hanno rintracciato lo scorso giugno 2014. Un 40enne sudamericano di origine colombiana è stato condannato dal Tribunale di Rimini, in primo grado, a 6 anni e 4 mesi di reclusione, oltre al pagamento di 50.000 euro, per violenza sessuale e procurato aborto nei confronti della figlia. Alla fine, ammettendo le sua responsabilità, ha chiesto ai giudici di essere mandato in carcere a Damasco, in Siria, per essere condannato a morte.
Il sudamericano residente nel Riminese con la famiglia, è stato estradato l’11 agosto 2014 dalla Svezia, dove era scappato da oltre due anni, dopo la segnalazione da parte degli assistenti sociali alla polizia in cui si spiegava come un uomo di origine straniera si fosse presentato al consultorio chiedendo di far abortire la propria figlia non ancora 14enne solo col proprio consenso. Il primo campanello d’allarme per il personale dei consultori era stata l’assenza della madre, giustificata dal genitore con fantomatiche carenze psicologiche della donna.
Dopo aver ricevuto il rifiuto di praticare un aborto su minore senza il consenso di entrambi i genitori, l’uomo si era rivolto a una struttura privata dalla quale si era poi fatto fare un certificato di avvenuto raschiamento. Il consultorio di Riccione, dove la bambina era stata nuovamente sottoposta a ecografia aveva evidenziato che l’aborto non era avvenuto. L’uomo era così tornato al consultorio, stavolta con la moglie che aveva dato il consenso all’aborto della figlia.
Il 31 luglio 2012, la ragazzina, al secondo mese di gravidanza, abortisce e la Procura ordina il prelievo del DNA dal feto per stabilirne la paternità. E’ allora che l’uomo scappa in Svezia dopo aver svuotato un conto corrente postale. Dopo la notifica dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere per violenza sessuale e procurato aborto, l’uomo viene finalmente sottoposto a prelievo del DNA, viene stabilito che è lui il padre del bambino abortito dalla figlia e viene condannato. L’uomo ha infine ammesso le proprie responsabilità e ha chiesto – invano – di essere spedito in carcere a Damasco e di essere condannato a morte.
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