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Riforme costituzionali, lettera appello di 50 costituzionalisti

Una lettera aperta al governo affinché apra un serio dibattito sulle riforme costituzionali in vista dell’ultimo atto, il referendum. Oltre 50 costituzionalisti, avvocati, magistrati, docenti e studiosi della Carta, hanno firmato un appello per invitare l’esecutivo a rivedere alcune parti del ddl, approvato da entrambi i rami del Parlamento e in dirittura d’arrivo alla fase finale, quella della consultazione popolare. Gli studiosi hanno deciso di scrivere al governo non perché ritengono che la riforma sia il primo passo verso assolutismo, come invece gridano le opposizioni: per loro è necessario sviluppare alcune tematiche e affrontare punti critici per non trasformare la riforma “in una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e nell’appannamento di alcuni dei criteri portanti dell’impianto e dello spirito della Costituzione“. Vediamo quali sono le critiche.

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Nella lettera, i costituzionalisti indicano sette temi su cui lavorare per migliorare la riforma. Il primo riguarda la nascita stessa del testo, “ascritto ad una iniziativa del Governo” e che viene presentato “come risultato raggiunto da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare (“abbiamo i numeri”) anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche“. Le modifiche alla Costituzione andrebbero aperte a tutto l’arco politico perché la Carta deve essere “patrimonio comune il più possibile condiviso, non espressione di un indirizzo di governo e risultato del prevalere contingente di alcune forze politiche su altre“.

Il testo passa poi ad analizzare la riforma nel merito. Pur ritenendo fondamentale eliminare il bicameralismo perfetto, gli studiosi trovano che sia “perseguito in modo incoerente e sbagliato“, soprattutto rispetto al nuovo ruolo del Senato che dovrebbe essere la voce delle Regioni e delle autonomie e che rischia di essere il luogo delle “rappresentanze locali inevitabilmente articolate in base ad appartenenze politico-partitiche“.

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Con il nuovo Senato si rischia di avere più “procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento” e di avere anche più “incertezze e conflitti” di attribuzione. Anche il ruolo delle Regioni verrebbe svuotato, mentre i tagli ai costi di funzionamento delle istituzioni rischiano di “non garantire la ricchezza e la vitalità del tessuto democratico del paese“.

La riforma ha sì degli aspetti positivi ( tra cui, notano i costituzionalisti, la restrizione del potere del Governo di adottare decreti legge e la previsione di tempi certi per il voto della Camera sui progetti del Governo), ma non sono sufficienti a coprire i punti critici, compreso il referendum. Per come è pensato, diventerà un sì o no alla riforma, non darà la possibilità di votare sui singoli articoli e obbligherà a scegliere per “ragioni “politiche” estranee al merito della legge“. Una bocciatura piuttosto chiara per il governo: vedremo se le istanze degli esperti verranno accolte o meno.

Lorena Cacace

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