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Referendum costituzionale: bicameralismo perfetto addio

Meno senatori, nuove modalità di nomina e poteri diversi: il voto del referendum costituzionale del 4 dicembre riguarda, fra le altre cose, la riforma del Senato. Sull’esito del referendum si è scatenata una vera battaglia politica che vede tutte le opposizioni e parte della minoranza PD compatte nel no, contro i dem e gli alleati di governo schierati per il sì. La campagna è stata influenzata dalla personalizzazione dello scontro, con Renzi che ha spostato l’attenzione sul suo futuro politico più che sulla sostanza del testo, promettendo (o forse no) di dimettersi in caso di sconfitta. Al di là del tifo di partito, è bene sapere per cosa si deve votare, scegliendo sì o no in base a quello che dice la riforma, senza paletti dogmatici. Iniziamo dal tema cardine che è l’abolizione del bicameralismo perfetto.

Prima di affrontare il tema, urge un chiarimento. A essere riformata è la seconda parte della Carta che è quella suscettibile di modifiche: in base a quelle che sono le leggi di revisione costituzionale, si può cambiare il testo con “interventi puntuali e circoscritti“, come indicano tutti i costituzionalisti, e non nella sostanza. Per capire, l’attuale riforma non va a toccare il cuore della Carta (l’art. 139 della Costituzione chiarisce che “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale“) ma va a modificare la “forma” di alcuni temi. Nonostante quello che si sente e si legge anche sul web non è certo la prima volta che si cambia la Costituzione. Tra il 1948 e il 1999 sono state 25 le leggi costituzionali e di revisione che hanno toccato vari argomenti, tra cui (tra gli altri) le modalità di elezione di Camera e Senato, la durata della legislatura, il numero delle Regioni e la loro autonomia statutaria.

ADDIO AL BICAMERALISMO PERFETTO

Tanti sono i temi affrontati dalla riforma ma è l’addio al bicameralismo perfetto il suo fulcro. Camera e Senato sono ora perfettamente equivalenti in un sistema bicamerale (qui la definizione) che solo l’Italia ha in questa forma (negli altri paesi, come abbiamo spiegato qui) ci sono modalità diverse anche quando si tratta di due Camere). Il ddl Boschi cancella l’uguaglianza tra i due rami del Parlamento e indica la Camera come sede dell’attività parlamentare completa, andando a modificare l’articolo 55 della Costituzione.

In particolare, spetterà all’assemblea di Montecitorio dare la fiducia al governo e mantenere la funzione legislativa, salvo alcuni casi previsti dalla riforma in cui è ancora previsto anche il doppio voto (con un secondo passaggio a Palazzo Madama). Il Senato non viene cancellato ma viene modificato, diventando la Camera delle rappresentanze locali che interviene solo per determinate materie.

La riforma evita che ogni legge debba avere doppia approvazione alla Camera e al Senato e modifica ruolo e sistema di votazione dei due rami del Parlamento: i deputati saranno eletti a suffragio universale diretto (come già avviene), avranno la funzione di indirizzo politico, approveranno le leggi e daranno la fiducia al governo. I senatori saranno scelti tramite l’elezione indiretta e saranno i rappresentanti degli enti locali, legiferando su questi temi e controllando che qualsiasi legge nazionale non entri in conflitto con le leggi regionali.

LE RAGIONI DEL SI’

Votare sì significa accettare la fine del bicameralismo perfetto e quindi avere un Senato nuovo sia per le funzioni che per il sistema di voto. In particolare, sottolinea il comitato del sì, “l’Italia cessa di essere l’unico paese al mondo in cui il Parlamento sia composto da due camere uguali“. Uno dei punti forti sarebbe il risparmio per le casse dello Stato con una sola Camera sempre in funzione e la metà degli stipendi da pagare con un taglio netto dei parlamentari. Inoltre, con una sola votazione, il procedimento legislativo sarebbe più efficiente, portando a un ulteriore risparmio con l’eliminazione di conflitti che oggi fermano per mesi (se non per anni) le leggi in Parlamento.

LE RAGIONI DEL NO

Votare no significa mantenere il bicameralismo perfetto con Camera e Senato. Chi si oppone alla riforma fa notare che la modifica del Senato non supera il bicameralismo ma lo rende più caotico, con nuovi conflitti tra Stato e regioni e tra Camera e nuovo Senato. Rispetto al risparmio, i costi del Senato verrebbero ridotti di un quinto e non dimezzati per cui anche il tema dei tagli alle spese non sarebbe così importante da votare a favore.

Lorena Cacace

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