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Raghad, 11 anni morta per uno spietato ordine degli scafisti

Ogni storia di immigrazione è una storia di dolore: quella di Raghad, 11 anni, morta perché gli scafisti le hanno negato l’insulina, non fa eccezione. Quarta delle figlie di Eyas Hasoun, soffriva di una grave forma di diabete: l’uomo, siriano di Aleppo in fuga con la famiglia dal 2013, l’ha vista morire sotto i suoi occhi dopo che gli scafisti hanno buttato in mare lo zaino con le medicine. È stato il padre a raccontare la vicenda in un’intervista al Corriere della Sera: una volta arrivati in Italia, li ha denunciati e i tre sono stati arrestati con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina.

I giornalisti del Corriere raggiungono Eyas nella casa accoglienza di Milano, dove si trova con il resto della famiglia. Fa fatica a raccontare quanto ha vissuto, ma è la sola cosa che gli rimane da fare. Scappati da Aleppo, dove l’uomo aveva un negozio di distribuzione di farmaci, nel 2013 arrivano in Egitto per ricominciare una nuova vita. Raghad soffre di una rara forma di diabete che le sta minando il pancreas, le cure sono sempre più difficili specie dopo lo scoppio della crisi egiziana. Anche al Cairo, racconta Eyas, la situazione diventa ogni giorno più pericolosa e così prende la decisione di raggiungere l’Europa, direzione Germania, dove vorrebbe provare nuove cure per la figlia.

Eyas non vuole nascondere nulla alle figlie e mostra le immagini delle traversate nel Mediterraneo a bordo dei barconi: le ragazze vogliono partire lo stesso, solo Raghad tentenna e chiede di rimanere in Egitto perché non vuole essere d’intralcio alla famiglia.

La decisione viene presa, si imbarcano e lì inizia la tragedia. “Avevamo preparato due grossi zaini: uno lo tenevo io e il secondo mia moglie Nailà, nel timore che avrebbero potuto dividerci. Gli zaini erano pieni di fiale di insulina, e di macchinari per misurare i valori del diabete e le giuste dosi di medicinale da somministrare. Sulla spiaggia di partenza, vicino ad Alessandria, gli scafisti ci hanno ordinato di raggiungere una piccola barca che distava un centinaio di metri. Inutile opporsi, erano armati di kalashnikov. L’acqua ci arrivava alla testa. Il mio zaino si è impregnato d’acqua”, racconta Eyas ai cronisti del Corriere.

Mia moglie è riuscita a salvarlo, l’ha sollevato sopra il capo, allungando le braccia e soffrendo in silenzio per il dolore. Uno scafista le ha urlato di abbandonarlo. Mia moglie ha risposto che quello zaino era più prezioso della sua stessa anima, l’ha pregato d’avere pietà. Lo scafista gliel’ha strappato di mano, l’ha scaraventato in mare. Ci siamo immersi, lo abbiamo recuperato ma era ormai compromesso. I macchinari non funzionavano, le fiale erano inservibili, era difficile calcolare bene le dosi. Ho provato, ho provato ad aiutare la mia piccola Raghad. Ma senza macchinari, senza insulina, ero impotente. Avevo il buio che mi stava travolgendo”.

L’agonia della piccola è durata cinque giorni: dopo tre giorni, la costa egiziana era ancora vicina perché, prosegue Eyas, “quegli avidi sciacalli aspettavano altri immigrati, per prendere più soldi”. Viste le condizioni di Raghad, ha anche chiesto di poter tornare indietro, ma “gli scafisti via radio ordinavano agli altri in arrivo di caricarci e buttarci”. L’uomo non ha potuto fare altro per la figlia, se non tenerle la mano mentre si spegneva nella calca del barcone, in mezzo al mare e sotto un sole cocente.

“Si è spenta al quinto giorno. L’abbiamo appoggiata su un piccolo pezzo del ponte, era tutta rannicchiata, attorno c’era gente accalcata, stremata, svenuta. Poi… poi il suo corpo si stava… volevo che le altre figlie non avessero di lei un’immagine… c’erano delle persone esperte di religione. Hanno celebrato la cerimonia funebre… abbiamo lavato i suoi vestiti in mare… l’ho adagiata in acqua”, conclude Eyas.

Il suo racconto, il passaporto della figlia e le testimonianze dei compagni di viaggio hanno permesso di ricostruire la storia e di fermare gli scafisti. Ha dovuto adagiare il corpo della figlia in mare con le sue mani, l’ha vista morire “senza un perché”, se non la ferocia di criminali che speculano sulla disperazione e non si fermano davanti a nulla, neanche una ragazzina malata.

foto frame dal video di Corriere Tv

Lorena Cacace

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