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Quote immigrati UE: perché è così difficile l’accordo?

Bruxelles: il consiglio Affari Interni dell’Ue si è concluso senza un accordo unanime sul documento ‘Emergenza Migranti’. Nello specifico, sulla questione dei 120mila ricollocamenti, è stata decisiva la netta opposizione di Ungheria Slovacchia e Repubblica Ceca. Ma qual è il vero motivo per cui è così difficile trovare un’intesa sulle quote di immigrati?

Per comprende meglio la questione, è fondamentale fare un passo indietro nel tempo. Pochi mesi fa, a seguito dell’ennesima strage di migranti morti nelle acque del Mediterraneo, Bruxelles era intervenuta stabilendo un piano d’azione, che puntasse all’aumento delle risorse destinate al pattugliamento delle coste europee, alla lotta contro i trafficanti di esseri umani e disincentivasse l’immigrazione irregolare.

E’ in quest’ottica che la Commissione ha deciso di introdurre le così dette quote sull’immigrazione.

In concreto sono un meccanismo temporaneo di ridistribuzione degli immigrati presenti sul territorio di tutti gli Stati membri dell’Europa. Le quote di immigrati trovano fondamento nell’art.78, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che mira al sostegno di uno o più Paesi interessati da un afflusso improvviso di migranti.

La ripartizione delle quote tiene conto di due tipologie di immigrati: quelli già presenti sul territorio europeo (giunti tramite i barconi e che hanno diritto d’Asilo), e quelli che attualmente vivono in cambi profughi nei loro paesi d’origine, in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato da parte di Paesi europei.

Esistono poi dei parametri per la ripartizione: popolazione complessiva (40%), PIL (40%), tasso di disoccupazione (10%) e numero di rifugiati già accolti sul territorio nazionale (10%).

Quali sono dunque i motivi reali per cui molti stati si stanno opponendo alle quote di immigrati, destinati al loro territorio?

Fondamentalmente, i Paesi dell’Est si stanno compattando contro il piano d’azione Europeo, per evitare che le politiche sull’immigrazione diventino una questione dell’Unione Europea e non più una questione di Stato. In altre parole, il loro obiettivo è quello di conservare il proprio potere decisionale sulle politiche immigratorie.

Alcuni hanno definito questo modus operandi discutibile e alquanto opportunista: è buona cosa far parte dell’Unione Europea quando si può usufruire dei suoi fondi, ma quando si tratta di aiutare altri Paesi in difficoltà, allora è bene farsi da parte…

Non bisogna, tuttavia, tralasciare nemmeno il fatto che i criteri identificati per l’assegnazione di un maggior o minor numero di migranti sono per alcuni versi iniqui: il tasso di disoccupazione, ad esempio, è fondamentale per delineare la capacità di uno Stato di garantire una valida integrazione ai migranti. Considerarlo soltanto al 10% vuol dire avere tra le mani dati non attendibli.

Il rischio è che le inefficaci politiche nazionali, al fianco di tali provvedimenti conducano l’Europa verso il totale fallimento del progetto di integrazione europea. E se tutti i Paesi torneranno a chiudere le frontiere l’Italia si troverà a gestire non più migliaia di migranti, ma forse milioni…

Beatrice Elerdini

Beatrice Elerdini è stata una collaboratrice di Nanopress dal 2014 al 2019, occupandosi di cronaca e attualità. Degli stessi argomenti ha scritto su Pourfemme dal 2018 al 2019.

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