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Quadricotteri e droni: il pericolo hitech non considerato

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Prendiamo un’occasione come un discorso di un presidente/personalità/celebrità in un luogo aperto, ad esempio una piazza con decine di migliaia di persone. O un concerto. O un qualsiasi altro evento che comporti la presenza di tantissima gente e un obiettivo sensibile. Tutte le misure di sicurezza sono focalizzate su pericoli come aggressori a mano armata, al peggio a cecchini vigliaccamente nascosti e ben coperti. Invece arriva svolazzando un drone, un quadricottero appositamente modificato per accogliere – immaginiamo un’ipotesi al volo – una carica esplosiva. È controllato a distanza con uno smartphone e vola basso dirigendosi nemmeno poi così lentamente sul suo target. Quante possibilità ci sono che succeda un disastro?

Il video qui sopra testimonia l’ingresso in campo durante Serbia vs Albania di un quadricottero che trasportava la bandiera per il Kosovo libero e ha scatenato la rissa tra calciatori delle due nazionali e anche pubblico che ha invaso il terreno di gioco. E se al posto della bandiera ci fosse stata un’arma, un contenitore con un gas letale o più semplicemente esplosivo? L’evento ha dimostrato quanto sarebbe semplice provocare una strage con tecnologia piuttosto low-cost. Ormai ci sono droni che – evitiamo di fare nomi – si possono acquistare con qualche centinaio di euro e sono facilissimamente modificabili e riprogrammabili per compiti anche evoluti grazie alle ben note piastre alla portata di qualsiasi tecnofilo. Il tutto, sia ben chiaro, standosene ben al sicuro a distanze anche chilometriche.

È da tempo che i droni sono utilizzati per operazioni di sicurezza non solo di difesa, ma anche di offesa. Ad esempio è quasi vecchio un lustro il britannico AirRobot della polizia dell’Essex o HERTI che ha pattugliato l’Afghanistan: costano poco e sono estreamente compatti, soprattutto possono non solo spiare ma anche intervenire. D’altra parte c’è la leggenda metropolitana (o no?) che Osama bin Laden fosse stato “beccato” da un drone nel 2000 mentre era in fuga, ma l’elicotterino non aveva armi per contrastarlo. Dato che la lingua ferisce più della spada, prima di armare i droni li si è fatti comunicare. È l’esempio del Long Range Acoustic Device (LRAD) utilizzato in Somalia nel 2005 oltre che sull’elicottero autonomo Austrian S-100 poi si è passati ad armi non letali come fari accecanti, laser che accecano temporaneamente o causano forti nausee, cannoni che sparano vibrazioni che fanno perdere l’orientamento e sostanze non fatali.

Uno dei primi droni armati era sviluppato dalla francese Tecknisolar Seni con pallottole di gomma che “regalano” la stessa sensazione di un pugno sferrato da un boxeur professionista. Ma la stagione dei droni ha presto interessato il settore bellico pesante, come testimoniato dai numeri rilasciati: gli attacchi condotti nel periodo compreso tra il 2004 e il 2013 hanno lasciato sul terreno 2500-3500 morti compresi centinaia di civili e parecchi bambini durante e almeno un migliaio di feriti accertati in Pakistan. Il tema è stato trattato anche dal Consiglio dei diritti umani dell’ONU a Ginevra lo scorso maggio. Ma il pericolo non è tanto quello dei droni killer appositamente creati per offendere quanto i gadget veri e propri. Torniamo per un attimo all’esempio di inizio articolo.

Di sicuro il drone “giocattolo” non passerebbe inosservato a lungo perché attirerebbe l’attenzione con la sua presenza fisica e “sonora”. Ma la polizia correrebbe il rischio di tentare di abbatterlo sapendo che potrebbe ad esempio esplodere sulla folla dato che verosimilmente volerebbe basso per auto-coprirsi da eventuali offese? Insomma, si sacrificherebbero i civili per proteggere il politico di turno? Dilemma etico e non così scontato. Certo, il grande limite di una strategia di offesa con drone sarebbe di mantenerlo il più possibile non visibile data la velocità alta, ma non altissima, ma dalla sua avrebbe la capacità di muoversi in tutte le direzioni, scavalcare barriere e insinuarsi in stretti passsaggi andando eventualmente a rincorrere l’obiettivo in fuga.

La speranza è che questo scenario sia solo da thriller di serie Z, anche se tecnicamente si potrebbe mettere in pratica senza troppe conoscenze pratiche e con una spesa minima. Un pericolo che non si dovrebbe sottovalutare in modo troppo leggero.

Diego Barbera

Diego Barbera è stato un redattore interno di Nanopress fino al 2018. Si è occupato di tecnologia, sport, cronaca.

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