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Proteste in Romania, vincono i manifestanti: via la legge che depenalizza la corruzione

Dopo cinque giorni di protesta, in Romania vincono i manifestanti. Il premier Sorin Grindeanu ha infatti dichiarato di essere pronto a revocare la legge che depenalizza la corruzione. “Non voglio dividere il paese”, ha dichiarato il primo ministro, membro del Partito Socialdemocratico. “Abbiamo ascoltato molte voci e sentito molti pareri, compresi quelli che venivano dalla strada”, ha aggiunto, specificando di aver dato mandato al Parlamento per scrivere una nuova legge sulla corruzione. Il paese ha vissuto intense proteste dopo l’approvazione della nuova legge, fatta con decreto d’urgenza e valida in dieci giorni, ma i manifestanti non sembra soddisfatti: la piazza ha infatti chiesto le dimissione del premier che sono state rinviate al mittente.

Dalla serata di martedì 1° febbraio, oltre 250mila persone sono scese in strada contro il provvedimento; il decreto, approvato martedì sera dal governo, ha provocato le dimissioni del ministro per le Imprese, Florin Jianu. “Ho la coscienza pulita, ma ho deciso di dimettermi per mia figlia, per come la guarderò negli occhi e cosa le dirò tra qualche anno: le dirò che suo padre era un codardo e ha avallato azioni che non condivideva o ha scelto di uscire a testa alta per una cosa che non ha voluto?”, si legge nel post pubblicato sulla sua pagina Facebook.

La Romania, ha aggiunto il ministro dimissionario, “non merita quello che sta succedendo, i rumeni non lo meritano”. Centinaia di migliaia i manifestanti scesi per le strade, in particolare a Bucarest per quella che i media hanno definito la più grande protesta dai tempi della caduta del comunismo.

Nella capitale, le proteste a un certo punto sono degenerate e diventate violente: quattro agenti e due persone sono rimaste ferite negli scontri, mentre una ventina di dimostranti sono stati arrestati. Le immagini delle tv hanno ripreso momenti di tensione, con alcuni cassonetti dati alle fiamme e scontri con gli agenti, ma nel complesso le proteste sono state pacifiche, con un fiume di persone che ha invaso le strade cittadine.

A seguito delle proteste, il governo, guidato dal socialdemocratico Sorin Grindeanu, aveva difeso il decreto sostenendo che serve per alleggerire il numero dei detenuti nelle carceri. Per l’opposizione invece Grindeanu vorrebbe far rilasciare alcuni suoi alleati arrestati per corruzione.

La notizia ha fatto il giro d’Europa e lo stesso presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker era intervenuto con una nota ufficiale: “La lotta alla corruzione in Romania deve avanzare, non indietreggiare. Seguiamo gli sviluppi con grande preoccupazione”.

Il decreto del governo depenalizzava alcuni reati di corruzione: in particolare, era stata fissata la soglia di 200mila leu rumeni, circa 44mila euro, per far scattare il reato penale. Essendo stato deciso con decreto d’urgenza, il provvedimento era valido in dieci giorni. Questo avrebbe comportato sì un alleggerimento delle carceri, come sosteneva il governo, ma perché alcuni politici, in prigione per corruzione, sarebbero usciti dal carcere, con pene diminuite o annullate. Tra loro anche Liviu Dragnea, leader del partito socialdemocratico, che rischia due anni di carcere per un’inchiesta sulla corruzione e abuso di potere. Il problema della corruzione è molto sentito nel paese: nella classifica sulla percezione della corruzione, stilata da Trasparency International, la Romania è al 57esimo posto.

Se il problema è così forte in Romania da portare per le strada migliaia di persone, cosa dovrebbe succedere in Italia, dove la corruzione è anche peggiore? A dirlo è la stessa classifica che mette Bucarest al 57esimo posto e dà la 60esima posizione al nostro paese, una posizione in meno rispetto al 2015.

La corruzione è un male endemico e silenzioso nel nostro paese, tanto che Piercamillo Davigo, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, arrivò a dire che “i politici non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi”, facendo scoppiare grandi polemiche. Non è un caso che Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anti corruzione, ha sottolineato come la corruzione impedisca le normali attività del paese, a partire dalla realizzazione di infrastrutture, come fu nel caso dello scontro tra treni in Puglia. A chi minimizza sempre i fenomeni corruttivi, bisognerebbe ricordare che di corruzione si può anche morire.

Lorena Cacace

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