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Politica

Piantedosi e il carico residuale, lettera a un immigrato

Corrispondenza immaginaria di un ministro a un immigrato soggetto allo “sbarco selettivo”. Il come e il perché la vergogna va descritta presentando l’ideologia di chi la porta nelle istituzioni. 

Il “carico residuale” resta a bordo. Tu non sei nessuno, senonché fragile e privato della dignità fisica. Allora dall’alto del mio ministero ti separerò io dai tuoi cari, risparmiandoti però. E toccherai terra dimenticando il cimitero sommerso di uomini, donne e bambini.

Togliti via dal pensiero l’elemento acqueo in cui hai trovato la vita. All’oblio cedi le onde che hai navigato salvandoti grazie alle organizzazioni non governative. Perché quelle governative se fosse per i suoi rappresentanti ti lascerebbero morire agognante, con il respiro dell’angoscia di chi soffoca per via dell’acqua mischiata al respiro che brucia le mucose.

Perché tu immigrato – non fragile – sei in realtà un “carico residuale”. Ma sappi che sei di vetro comunque. Non porti alcun messaggio di verità per la nostra regina. Sei una persona di razza differente che non merita circostanze sensibili. Noi, bada bene, non restiamo umani. Noi facciamo politica e la diamo in pasto a una muta di sostenitori osservanti e compiacenti. Tu, immigrato, sei un non bianco che scappa da una guerra che non è in primo piano per l’establishment. E poco contano le tue carestie, le crisi alimentari, i radicalismi, il buio delle prigioni libiche, le torture. E poca conta se sei forte e di bell’aspetto, anzi l’estetica aumenta il marchio dell’infamia che pende su di te come una spada di Damocle.

Carico residuale

Sì, caro immigrato, tu non sei un soggetto di diritto internazionale, ma piuttosto un “carico residuale”. Sei al pari di un elemento di massa merceologica sul quale operano le logiche del supply chain. Le stesse che sfruttano da secoli le risorse dei vostri paesi e soprattutto le vostre genti schiavizzandole.

Il linguaggio della maggioranza a cui presiedo non prevede alcun tipo di riferimento umano quando si tratta di ottemperare alle policy sull’immigrazione che dobbiamo, dobbiamo, implementare. Perché quando si tratta di accogliere, la nostra neolingua prevede lo stile prefettizio da Codice Rocco come ai tempi del periodo totalitario. Perché per noi prima vengono gli italiani, non la vita. Perché per noi prima viene la sicurezza, non la vita.

E non devi avere orecchie, noi non siamo come il nostromo che al posto delle sirene sente le urla di chi muore in mare e non può esimersi dall’intervenire. La tua voce non conta nulla. 

Primo Levi

Caro “carico residuale” leggi Primo Levi: “Se questo è un uomo” definisce bene la condizione dei deportati. È simile alla tua che per non morire hai scelto l’alta probabilità di morire: “E venne la notte, e fu una notte tale, che si conobbe che occhi umani non avrebbero dovuto assistervi e sopravvivere. Tutti sentirono questo: nessuno dei guardiani, né italiani né tedeschi, ebbe animo di venire a vedere che cosa fanno gli uomini quando sanno di dover morire…” .

Leggiti anche questo passo: “Proprio così, punto per punto: vagoni merci, chiusi dall’esterno, e dentro uomini donne bambini, compressi senza pietà, come merce di dozzina, in viaggio verso il nulla, in viaggio all’ingiù, verso il fondo.” 

Fa al caso tuo questa storia di chi ha cercato di venire nel nostro Paese, anzi “Nazione”. E sai cosa diceva Ernest Renan: “La nazione è un plebiscito di tutti i giorni, come l’esistenza di un individuo è un’affermazione perpetua di vita”. E noi nella vita nostra non ti vogliamo. E sai dove sbagliava Renan? Quando diceva che “L’uomo non è schiavo né della sua razza, né della sua lingua, né della sua religione, né del corso dei fiumi, né della direzione delle catene montagnose.” E sbagliava pure quando diceva: “Una grande aggregazione di uomini, sana di spirito e generosa di cuore, crea una coscienza morale che si chiama nazione”.

Migranti in mare – Nanopress.it

Ecco, lo vedi, caro immigrato cosa abbiamo creato di nuovo noi qui con Salvini, Piantedosi e Crosetto, piegando il tempo e passandoci dentro, come nel Ventennio, come pochi anni or sono e come oggi? Cambiamo gli ideali illuministi per convertirli in ideali di casa nostra alla buona, perché francamente c’è una democrazia da servire a pesci in faccia.

Per noi la Nazione non parla di umanità. Noi non partecipiamo a quel ballo performante delle altre belle nazioni che cercano di farsi notare perché apportano qualcosa di più all’umanità. Sai cosa dicevano a Sparta: “Noi siamo quel che voi foste, saremo quel che voi siete”, ma senza il “carico residuale” sia ben chiaro.   

Andrea G. Cammarata

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