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Paolo Bovi da Don Mazzi: l’ex fonico dei Modà sconterà il resto della pena nella Comunità Exodus

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Paolo Bovi da Don Mazzi come Fabrizio Corona: l’ex fonico dei Modà, condannato a 5 anni e mezzo di carcere per pedofilia (pena confermata in appello lo scorso 1° luglio), sconterà il resto della pena ai domiciliari in una comunità della Fondazione Exodus, la stessa che qualche settimana fa ha accolto il controverso ‘fotografo dei VIP’. Non c’è però alcuna possibilità che i due possano incrociarsi: Bovi infatti sarà ospitato nella comunità di Milano, mentre Corona è stato affidato alla sede di Lonate Pozzolo, piccolo centro in provincia di Varese.

Il beneficio concesso a Paolo Bovi di trascorrere il resto della pena nella comunità Exodus è contenuto nel dispositivo della recente sentenza di appello, dove si legge che l’uomo sta seguendo un percorso terapeutico iniziato a gennaio, dopo che lo stesso don Antonio Mazzi gli aveva scritto offrendogli solidarietà e possibilità di accoglierlo per un cammino rieducativo.

Siamo certi che la vicinanza di Don Mazzi lo aiuterà tanto, ma Paolo Bovi ne deve fare di strada per redimersi completamente agli occhi del mondo: il musicista (tastierista dei Modà dal 2002 al 2007 e poi fonico della band di Kekko Silvestre) è stato condannato per un reato particolarmente grave, molestie sessuali su quattro ragazzi tra i 13 e i 16 anni, e nei prossimi anni dovrà lavorare duramente per dimostrare di essere guarito dal suo vizio (lui stesso ha ammesso di essere ‘malato di pedofilia’ da molti anni).

Gli abusi per i quali Paolo Bovi è stato condannato sono avvenuti nel 2011, quando l’uomo ricopriva il ruolo di educatore in un oratorio nell’hinterland milanese, nel suo studio di registrazione a Milano e in un campeggio durante una gita in Val d’Aosta. Nelle motivazioni della sentenza si legge che l’attenta analisi dei racconti delle vittime di Bovi ha consentito di comprendere appieno la natura degli atti compiuti dall’imputato, la serialità delle sue condotte, gli ingannevoli pretesti utilizzati per costringere i minori a denudarsi fino al raggiungimento del contatto corporeo e delle zone erogene di questi. ‘La condotta si consumava in tutti i casi con l’approfittamento delle condizioni di inferiorità delle vittime e del rapporto fiduciario in essere con l’imputato‘, si legge ancora nella sentenza, ‘che attentò indiscutibilmente alla libertà sessuale dei minori in questione violando, contro il consenso di questi, zone erogene del loro corpo, utilizzando come strumento invasivo le mani‘.

Speriamo davvero che questo percorso terapeutico riesca a restituirci un uomo migliore.

Raffaele Dambra

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