L’Agenzia delle Entrate, attraverso lo strumento delle indagini bancarie, può tenere sotto controllo prelievi e versamenti “sospetti”. Non è una novità, visto che persino il fisco può presumere l’illecito dietro un prelievo o versamento non giustificato, lasciando al cittadino l’onere di difendersi e fornire sufficenti prove per scagionarsi, anche se a distanza di numerosi anni dall’operazione. Ormai tutto ciò che riguarda il conto corrente è diventato trasparente, tanto che pochi giorni fa la Cassazione ha specificato che l’accertamento bancario svolto su questi può essere eseguito nei confronti di chiunque, a prescindere dall’attività esercitata e anche il conto corrente è cointestato con altri familiari, ad esempio.
La Suprema Corte si è ulteriormente espressa sull’argomento, giustificando persino i controlli sui conti correnti di familiari e affini, a condizione che l’Agenzia delle Entrate dimostri la contitolarità del conto oggetto di indagini.
Ad esempio, se il contribuente effettua operazioni dal conto della madre o della moglie (o anche della suocera) per conto proprio e non ne riesce poi a fornire spiegazioni, il Fisco può autorizzare l’esecuzione di indagini bancarie per poi spiccare l’accertamento, questo almeno secondo quanto riportato dalla recente sentenza della Cassazione n. 18370/15.
Sempre secondo questa, è onere dell’ente impositore dimostrare che un conto corrente bancario di cui non è provata l’intestazione al contribuente è riferibile al contribuente stesso. Riassumendo, l’Agenzia delle Entrate può mettere sotto controllo anche i dati derivanti da conti di terzi, qualora risultino elementi utili alle indagini sui movimenti bancari e siano i conti stessi co-intestati.
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