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Il calcio piange Emiliano Mondonico, grande tecnico e icona dello sport più amato, morto dopo sette anni di lotta contro il cancro all’età di 71 anni. Il “Mondo”, come era da tutti chiamato in maniera affettuosa, si è spento a Milano, circondato dall’affetto della sua famiglia. “Ciao Papo…. sei stato il nostro esempio e la nostra forza… ora cercheremo di continuare come ci hai insegnato tu… eternamente tua”, è il messaggio che ha voluto lasciare la figlia dal profilo Facebook. Simbolo del calcio nostrano, amatissimo da tutti i tifosi e specialmente da quelli di Cremonese, Atalanta, Torino e Fiorentina di cui fece la storia, amava tutto quello che riguardava il mondo del pallone. La “Bestia”, come chiamava il cancro che lo aveva colpito, alla fine ha avuto la meglio. “Il calcio mi dà la forza per continuare la sfida contro la malattia”, aveva detto dopo l’ultimo intervento a reni e intestino.
Mondonico era un’icona del calcio nostrano, giocatore ma soprattuto tecnico, in grado di unire passione, competenze e un amore viscerale per lo sport. Simbolo di un calcio pulito, fatto di corsa, tecnica ma soprattutto cuore, era nato a Rivolta d’Adda il 9 marzo 1947 e da giocatore aveva militato nelle squadre di Cremonese, Torino, Monza e Atalanta,
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La sua vera carriera fu però quella di allenatore. Sotto la sua guida portò in serie A prima la Cremonese (1983-1984), poi Atalanta (1987-1988 e 1994-1995), Torino (1998-1999), e Fiorentina (2003-2004).
Con i nerazzurri visse stagioni entrate nel mito, come quella conclusa con la semifinale di Coppa delle Coppe contro il Malines ad Amsterdam, mentre con i granata arrivò a sfiorare l’impresa nella finale di Coppa Uefa persa contro l’Ajax il 13 maggio 1992, quando alzò la sedia per protestare contro un rigore negato.
Mondonico ha allenato anche Napoli e Cosenza, chiudendo con i bergamaschi dell’AlbinoLeffe, la Cremonese e il Novara, ultima squadra allenata quando la malattia si era già manifestata.
“Io sono stato allenatore 365 giorni all’anno, 24 ore al giorno”, aveva raccontato all’Eco di Bergamo. “Qualche anno fa, al primo insorgere del male, mi sono fatto da parte spontaneamente, dicendo no anche a qualcuno che mi aveva cercato: unallenatore al 70-80 per cento non può essere un buon allenatore”.
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