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Marò italiani in India, colloquio tra Renzi e il Premier indiano: si cerca una soluzione rapida

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Va avanti la vicenda dei marò italiani in India. Si è svolto un vero e proprio pressing diplomatico per il caso di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Il Premier Matteo Renzi ha parlato al telefono con il Primo Ministro indiano Narendra Modi. I due leader sarebbero stati d’accordo sull’importanza di rilanciare rapporti bilaterali tra i due Stati, anche per ciò che riguarda la cooperazione internazionale, inquadrata nell’ambito dell’Unione Europea. Il Premier indiano ha sollecitato l’Italia a permettere che il cammino del processo possa proseguire.

LEGGI ANCHE: Marò italiani in India: ricostruzione e riassunto dei fatti

Inoltre ha specificato che la giustizia indiana sa essere libera e giusta. Renzi si è detto fiducioso che tutto ciò possa avvenire, anche perché il Governo indiano starebbe pensando a non arrecare danni all’immagine del Paese. In questo senso potrebbe instaurarsi una soluzione diplomatica che possa essere anche veloce.

Salvatore Girone fa l’esame di Maturità

Nel frattempo Salvatore Girone, in contemporanea con lo svolgimento degli esami di Maturità 2014, ha svolto proprio gli esami per prendere il diploma, in videoconferenza con gli studenti e i professori dell’Istituto tecnico professionale Marconi di Bari. I docenti non hanno voluto rilasciare particolari dichiarazioni, perché hanno affermato di aver avuto ordini di non parlare con i giornalisti. Tuttavia un professore si è esposto, affermando che l’esame si è svolto nel migliore dei modi e che non ci sono stati problemi di connessione. Poi ha rivelato alcuni particolari anche su Girone come alunno. Il docente ha, infatti, detto che Girone è molto preciso e scrupoloso e lo è stato anche quando ha seguito le lezioni del corso serale. In quell’occasione il suo impegno è stato ineguagliabile.

La procedura internazionale

Il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, ha affermato che si apre una nuova fase per trattare la questione. Verrà aperta la procedura internazionale. Di tutto ciò è stato reso conto durante un’audizione al Senato, nell’ambito della quale è intervenuto anche il ministro della Difesa, Roberta Pinotti. La strategia che sarà messa in atto è quella condivisa con il Parlamento, perché ormai il Governo italiano ritiene che trattenere i due militari per oltre 2 anni sia qualcosa di inaccettabile.

Il ministro ha ricordato che ancora manca un atto di accusa e che il giudizio in India non rappresenta una strada percorribile. D’altronde ha sottolineato come per i militari in missione esistano delle norme che riguardano il giudizio, in caso di errori. Sarà richiamato l’ambasciatore italiano Daniele Mancini e si lascerà spazio a un collegio di esperti. Il ministro non ha mancato di ringraziare ufficialmente Staffan de Mistura. Sarà nominato un coordinatore, che avrà il compito di guidare il collegio, per risolvere la vicenda in base a ciò che stabiliscono le norme internazionali.

Per i marò un ostacolo è rappresentato anche dall’introduzione dell’italiana Sonia Gandhi nella scena politica del Paese. La donna è presidente del partito del congresso e il suo ruolo si avvia a diventare sempre più importante, specialmente adesso che a breve ci saranno le elezioni. Per comprendere meglio il punto della situazione, bisogna sottolineare che Sonia Gandhi è piuttosto intransigente, anche nei confronti del suo essere italiana. Basti pensare che è intervenuta direttamente con toni piuttosto aspri quando Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono tornati in Italia per una licenza elettorale e hanno tardato il loro rientro a Delhi.

Per Sonia la sua italianità non deve diventare una vulnerabilità politica, evidentemente ne è ben consapevole, perché da questo punto di vista corre un rischio molto grosso. Tutto a questo punto risiede nei nuovi assetti istituzionali che prenderà il potere in India in seguito alla tornata elettorale. Quel che è certo è che un funzionario coinvolto nel caso ha affermato con sicurezza che proprio la signora Gandhi non vuole cedere ad un negoziato con il nostro Paese.

Il ricorso presentato da Massimiliano Latorre e Salvatore Girone è stato accolto da parte della Corte Suprema indiana. Il processo è stato sospeso e si terrà tra quattro settimane la prossima udienza. Secondo alcune fonti, inoltre, il ricorso potrebbe anche contestare il fatto che l’India abbia il diritto di occuparsi dell’inchiesta e di giudicare i marò. In sostanza, la Corte Suprema ha confermato che la Nia può occuparsi esclusivamente dei casi di terrorismo. Il processo, nei fatti, è stato fermato, proprio il giorno dopo in cui c’era stata una discussione sull’argomento tra Matteo Renzi e il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, un fatto che dimostra l’interesse dell’America sulla questione. Per l’Italia si tratta, dunque, di una vera e propria vittoria, dal momento che da sempre si è detto che il nostro Paese non riconosce la giurisdizione dell’India sulla questione.

In particolare nel documento presentato dai marò anche con la collaborazione di un gruppo di legali del nostro Paese si parla del fatto che la Nia, la National Investigation Agency, non potrebbe agire senza alcune leggi speciali, come, ad esempio, il Sua Act. In realtà il procuratore indiano, in precedenza, aveva annunciato che si rinunciava all’uso di questa legge, anche se aveva chiesto ai giudici di mantenere per le indagini la Nia. La sala 4 della Corte, che si è occupata del ricorso, dovrà decidere anche sul ricorso presentato a gennaio dal Governo italiano. Su questa questione, comunque, non è stata ancora messa in calendario una data specifica.

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Il processo senza la Sua Act

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò italiani da due anni in India in attesa del processo per la morte di due pescatori, non saranno processati in base alla Sua Act, la legge anti pirateria. L’ennesima decisione da parte delle autorità indiane viene riportata dal Times of India: secondo il quotidiano il governo avrebbe chiesto alla Corte Suprema di New Delhi di non giudicare i due militari italiani secondo la legge antipirateria, ma avrebbe confermato che le accuse nei loro confronti saranno portate avanti dalla National Investigation Agency, la Nia, l’unità anti terrorismo che ha fatto le indagini sul caso.

Il governo italiano si è comunque opposto alla decisione del governo indiano per la scelta di far rappresentare l’accusa alla Nia: se si è deciso di non attuare la legge anti pirateria, non può essere l’unità anti terrorismo a presentare le accuse e il processo deve essere tenuto davanti a una giuria allargata.

Il caso dei marò arriva dunque a un nuovo punto di svolta dopo 27 rinvii. L’ultimo in ordine di tempo era arrivato lunedì 24 febbraio. Subito dopo l’insediamento di Matteo Renzi al governo, il neopremier aveva chiamato Latorre e Girone per rassicurarli sul fatto che l’Italia farà di tutto per portarli a casa. Il ministro della Difesa indiano A.K. Antony ha però negato che vi siano cedimenti del governo riguardo al processo dei marò. “Stiamo andando avanti su questa vicenda in base alle leggi indiane“. Ha ribadito che “non c’e’ spazio per compromessi” e non “faremo marcia indietro“: “saranno processati con le leggi del nostro Paese“.

Il procuratore indiano G.E. Vahanvati ha così chiesto alla Corte Suprema di applicare la soluzione trovata dal governo per processare i due fucilieri, consultando il Governo per vedere se si poteva applicare la legge antiterrorismo e antipirateria.

La richiesta della Sua Act

L’applicazione della Sua Act, senza l’articolo che prevede la pena di morte, era stata richiesta dal portavoce del ministero degli Interni indiano, il quale aveva autorizzato la Polizia a perseguire Latorre e Girone secondo queste regole. Il Times of India aveva spiegato che il Governo indiano ha autorizzato a perseguire i due marò secondo una disposizione del Sua Act che prevede la punizione di violenze generiche con una pena di 10 anni al massimo. Nello specifico si eviterebbe, in questo caso, di applicare proprio il comma G-1 che prevede la pena di morte per l’omicidio in mare.

Dura la reazione dell’ex ministro degli Esteri, Emma Bonino, che aveva definito “sconcertante” l’eventuale applicazione della legge antiterrorismo. “Talune anticipazioni che provengono da New Delhi sull’iter giudiziario del caso dei nostri fucilieri di marina mi lasciano interdetta e indignata” aveva detto Emma Bonino. “L’eventuale richiesta di applicazione della SUA Act, quale base di imputazione per i due maro’, laddove dovesse essere confermata, sarà contestata in aula dalla difesa italiana nella maniera più ferma“.

Per salvare i rapporti diplomatici con l’Italia, il governo indiano era pronto a invocare un capo d’imputazione meno grave per i due marò italiani. Accusa per cui nei loro confronti non sarà più invocato il Comma G-1 (il passaggio della legge sulla sicurezza marittima -Sua Act- che prevede in modo obbligatorio la pena di morte in caso di omicidio), ma in base alla Sezione 3 Comma A, i due potrebbero rischiare i dieci anni di carcere. Secondo The Economic Times, i due militari potrebbero essere comunque incriminati per omicidio in base alla sezione 302 del codice penale indiano, che prevede l’ergastolo e, solo nei casi più estremi, la pena di morte.

Fino a questo momento ci sono stati 27 rinvii giudiziari e sembra che il Governo indiano stia giocando molto con i tempi. A farlo notare è stato l’inviato speciale del Governo italiano, Staffan De Mistura, il quale ha spiegato che un limite fondamentale da prendere in considerazione è stato costituito dalla legge contro il terrorismo marittimo, la quale, secondo le norme indiane, prevede anche la pena di morte.

L’inizio della vicenda

Tutto inizia il 15 febbraio 2012, quando due pescatori indiani, Valentine Jalstine e Ajesh Binki, sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco al largo delle coste del Kerala. Sempre nella stessa giornata la petroliera Enrica Lexie, sulla quale si trovano i due marò italiani in servizio antipirateria, subisce un attacco da parte dei pirati, che vengono respinti. Ad essere accusati dell’omicidio dei due pescatori sono i due fucilieri italiani, i quali spiegano di essersi limitati a sparare dei colpi di avvertimento. Nonostante la difesa, i marò vengono arrestati il 19 febbraio. Secondo il Governo indiano, l’Italia non si può occupare del caso, in quanto non ne ha la giurisdizione, visto che il fatto è successo in acque internazionali.

Il 5 marzo i due marò vengono trasferiti in carcere e vengono sottoposti a degli interrogatori. Nel frattempo il giudice chiede che i due fucilieri italiani rimangano in uno stato di carcerazione preventiva fino al 30 aprile. E’ il 18 maggio dopo che vengono comunicate le accuse di omicidio, di tentato omicidio, di danni e associazione per delinquere. L’India all’inizio non vuole concedere la libertà su cauzione, ma poi cede, anche se i due sono costretti a non poter fare ritorno in Italia. Fra i due Paesi cominciano a crearsi parecchie tensioni.

La diplomazia

Il 22 dicembre 2012 i marò ottengono un permesso speciale, per poter rientrare per un breve periodo in Italia, in prossimità delle vacanze di Natale. Poi devono ritornare in India, dove, a New Delhi, viene creato un tribunale speciale. Continuano le trattative tra Italia e India e la situazione si fa molto caotica, dopo il permesso di 4 settimane per prendere parte alle elezioni politiche di febbraio. L’Italia sostiene di avere la giurisdizione sui due marò. Il 18 marzo in India viene fermato l’ambasciatore italiano Daniele Mancini. Perché quest’ultimo venga rilasciato, i due fucilieri vengono riportati in India. Il 26 marzo del 2013 il ministro degli Esteri Giulio Terzi presenta le sue dimissioni, in occasione dell’informativa alla Camera sul caso. Si registrano soltanto pochi segnali di apertura da parte dell’India, che decide di dare all’Italia la possibilità di svolgere delle nuove indagini.

Giorgio Rini

Giorgio Rini è stato collaboratore di Nanopress dal 2014 al 2017, occupandosi principalmente di politica, cronaca e spettacoli.

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