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“Il cielo in una stanza” suona all’infinito per ricordare le vittime del coronavirus

Per oltre un mese, nella chiesa conosciuta come San Carlino, fatta costruire dal cardinale Borromeo dopo l’epidemia di peste del 1576, le note de “Il cielo in una stanza“, di Gino Paoli, saranno riproposte in una particolare versione lirica, ogni giorno per sei ore al giorno. Ad interpretarle, una serie di artisti, tra cui anche la cantante e musicista Alessandra Bordiga, dalla quale tutto parte.

‘A sky in a room’ infatti, inizia questa primavera quando Bordiga registra una melodia per un suo amico ricoverato all’ospedale, positivo al coronavirus. Immediata ma non banale, la scelta della cantante è ricaduta sul capolavoro di Gino Paoli, come ideale via di fuga dalla stanza d’ospedale in cui il ragazzo era costretto. Oltre a Bordiga, altre voci si alterneranno in quella che lei stessa definisce “una sorta di mantra, una preghiera“.

“Il cielo in una stanza”, l’idea arriva dall’Islanda

Anche se l’evento è promosso dalla fondazione Nicola Trussardi, l’idea arriva dalla lontana Islanda, portata dall’artista Ragnar Kjartansson.
Il cielo in una stanza è l’unica canzone che conosco che rivela una caratteristica fondamentale dell’arte: la sua capacità di trasformare lo spazio. In un certo senso, è un’opera concettuale. Ma è anche una celebrazione del potere dell’immaginazione di trasformare il mondo attorno a noi“, dice  Kjartansson, da anni dedito a questo tipo di performance, inizialmente concepita per il National Museum of Wales di Cardiff.

Per il musicista, la canzone di Paoli “è una poesia che racconta di come l’amore e la musica possano espandere anche lo spazio più piccolo, fino ad abbracciare il cielo e gli alberi” ed è perfetta per descrivere i mesi del lockdown, trascorsi dentro le quattro mura casalinghe, quando il cielo poteva essere immaginato solo in una stanza (o su un balcone).

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