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Google e diritto d’oblio: perché gli utenti vogliono essere “dimenticati”

Con l’introduzione del diritto all’oblio, Google ha consentito a qualsiasi utente europeo di richiedere di essere cancellato dalla memoria del motore di ricerca. È un piccolo passo per il web, ma un grande balzo per la sua umanità visto che permette di poter gestire al meglio ciò che altri naviganti possono cercare e trovare oppure imbattersi casualmente mentre stanno magari cercando altro. Arrivano i primi interessantissimi dettagli su cosa viene richiesto di cancellare: dando un’occhiata alle pagine che sono state “dimenticate” e cancellate, possiamo così scoprire quali sono i motivi che portano a richiedere a Google di fare piazza pulita.

Tutto parte da un servizio chiamato Forget.me, un nome geniale che si può ovviamente tradurre come “Dimenticami” e che permette ai cittadini europei di essere dimenticati e cancellati più facilmente richiedendo una pulizia dai risultati delle ricerche su Google. La richiesta deve essere ovviamente motivata e deve portare alla conclusione che quei risultati siano “Irrilevanti, datati oppure inappropriati”. La Corte Europea di Giustizia ha avallato e gestito al meglio il tutto e si è subito partiti a gran velocità.

Secondo quanto condiviso da Forget.me, sono arrivate 1106 applicazioni per cancellare 5218 link in circa una settimana dal debutto del servizio. Quali sono le principali motivazioni? per il 28 per cento è la semplice quanto tremenda “invasione della privacy”, seguita al 19 per cento da diffamazioni e insulti personali, dal 6 per cento da servizi ormai in disuso, il 5 per cento da implicazioni in procedure penali o giudiziarie, il 5 per cento per le immagini e il 2 per cento per casi di omonimia che possono creare grande imbarazzo.

Scendendo nello specifico dell’invasione della privacy, che è il primo motivo, si possono trovare all’interno a loro volta: 22 per cento di diffusione dell’indirizzo di casa, il 18% di opinioni negative, 16% di ridondanza, l’8% per origine, nazionalità o identità etnica, l’8% di risultati scolastici, il 7% di pensiero filosofico, il 6% di pensiero religioso, il 5% di informazioni finanziarie, il 4% di pensiero politico personale, il 3% di orientamento sessuale e il 2% sia per lo stato di salute sia per lo stato sentimentale.C’è anche un considerevole numero di richieste per diffamazione che viene chiamata in causa soprattutto perché (43%) si viene citati in fatti in cui si è completamente estranei, il 21% è per diffamazioni generiche, il 20% per rumors non meglio verificati, il 9% per insulti ricevuti e l’8% per insulti fatti, una mossa preventiva per evitare future grane. E voi? Avete usato uno di questi servizi? Se sì, per quale motivo?

Diego Barbera

Diego Barbera è stato un redattore interno di Nanopress fino al 2018. Si è occupato di tecnologia, sport, cronaca.

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