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“Vesuvio pensaci tu”. “Forza Etna”. Quante volte abbiamo sentito dire o, più recentemente letto sui social network, frasi di questo tipo? E, a prescindere dagli aspetti chiaramente razzisti e xenofobi, queste espressioni dimostrano in realtà quanto sia diffusa l’idea che, se fosse possibile, abolire il Mezzogiorno sarebbe un’ottima soluzione ai problemi dell’Italia. Nello stesso senso vanno quei progetti politici che vorrebbero una drastica riduzione dei fondi per il Sud Italia e perfino un federalismo fiscale volto a tenere per sé le proprie tasse, senza capire che così il meridione muore. Ma cosa succede se muore il Sud? Lo abbiamo chiesto a Gian Antonio Stella.
Gian Antonio Stella, inviato ed editorialista del Corriere della Sera, è l’uomo che ha coniato con il collega e amico Sergio Rizzo il termina “Casta” per indicare quell’incredibile numero di privilegi di cui gode la nostra classe politica. Ora, dopo aver ampiamente dimostrato che la situazione economica e sociale dell’Italia ha dei responsabili ben individuabili (i nostri politici), i due giornalisti hanno voluto indagare le responsabilità di quello che è ormai il meridione da troppi decenni a questa parte.
Stella e Rizzo hanno indagato da giornalisti, da economisti e non certo da meridionali: il primo è nato ad Asolo (in provincia di Treviso) da una famiglia originaria di Asiago, il secondo è di Ivrea (in provincia di Torino). Non si può, quindi, ritenere che quanto affermano sia frutto di un becero campanilismo. Eppure il punto di arrivo è lo stesso: “Se muore il Sud, muore l’Italia”.
E allora lo Stato italiano e i suoi cittadini, da qualsiasi zona dalle penisola provengano, devono occuparsi di far rinascere il Mezzogiorno: non per filantropia, per salvare anche se stessi. Ma, leggendo le pagine di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, un dubbio invade il lettore. Quello che non si voglia far rinascere il Sud affinché il Nord possa restare in alto.
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