Il premier giapponese Yoshihide Suga ha dato il via libera allo scaricamento direttamente nell’Oceano Pacifico dell’acqua utilizzata per raffreddare i reattori della centrale nucleare di Fukushima, a 10 anni dal disastro nucleare (11 marzo 2011) provocato da un terremoto di magnitudo 9 e dal conseguente tsunami.
A nulla sono valse le proteste della popolazione, degli ambientalisti e soprattutto di pescatori e agricoltori locali: nel 2023 comincerà il rilascio in mare delle acque contaminate da parte della Tepco (Tokyo Electric Power), ovvero la società proprietaria della centrale, come già annunciato alcuni mesi fa.
Sono diversi anni che si cerca di trovare una soluzione che possa mettere d’accordo tutti e rispettare l’ambiente, ma alla fine si è scelto di proseguire nella direzione già annunciata. L’acqua nonostante venga depurata dagli isotopi radioattivi, contiene trizio, isotopo radioattivo dell’idrogeno dannoso anche per l’uomo se assunto in grandi quantità e che non c’è ancora modo di filtrare.
Sono più di un migliaio i serbatoi di quest’acqua conservati nei pressi della centrale di Fukushima e accumulati negli anni, e tra poco più di un anno si raggiungerà il massimo della capienza: in media quotidianamente si producono 140 tonnellate di acqua.
Il primo ministro Suga ha preso questa decisione di comune accordo con tutti i membri del governo compreso il ministro dell’Industria Hiroshi Kajiyama. Quest’ultimo già un anno fa aveva sostenuto la soluzione dello sversamento in mare, sostenendo che i livelli di materiale nocivo presente nelle acque non fosse preoccupante. Che questo metodo fosse il migliore è stato poi confermato da Rafael Grossi, dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, sostenendo che l’operazione fosse in linea con gli standard internazionali.
In questi due anni si studierà come ridurre l’impatto negativo su pesca e agricoltura del luogo.
Intanto Corea del Sud e Cina hanno espresso la loro contrarietà, dato che le acque contaminate potrebbero raggiungere le loro coste, minacciando azioni internazionali.
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