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Donald Trump sposta l’ambasciata USA a Gerusalemme: cosa succederà ora

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Donald Trump è pronto a spostare l’ambasciata americana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. L’annuncio è atteso a breve: fonti della Casa Bianca hanno confermato che il presidente USA è fermo nella sua decisione tanto che già martedì ha fatto le prime telefonate ai leader mediorientali, a partire dal leader dell’autorità palestinese Abu Mazen e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. La notizia ha fatto il giro del mondo, scatenando la rabbia dei palestinesi e del mondo arabo: le reazioni sono arrivate dai tutti i paesi islamici, a partire dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan che ha definito Gerusalemme la “linea rossa per i musulmani”, mentre gruppi palestinesi e islamici hanno già indetto “tre giorni di rabbia”. Perché Trump ha deciso di spostare l’ambasciata a Gerusalemme e cosa succederà ora?

La decisione sembra ormai assodata. Fonti della Casa Bianca confermano che non si tratta di una “presa di posizione politica” ma della “constatazione di una realtà storica e attuale”: lo spostamento non dovrebbe avvenire subito ma nell’arco di alcuni mesi, tanto che Trump avrebbe già pronta una proroga di sei mesi. Lo staff presidenziale ha aggiunto che l’annuncio ufficiale avverrà mercoledì durante un discorso in programma alla National Defense University, ma l’impatto di questa decisione ha già iniziato a farsi sentire.

Perché Trump sposta l’ambasciata USA a Gerusalemme

La decisione di Donald Trump in realtà non è una novità assoluta, anzi. Il Congresso USA già nel 1995 aveva riconosciuto Gerusalemme come unica capitale indivisibile dello stato di Israele ma nessun presidente ‘aveva ratificato per non ostacolare il processo di pace di cui gli States si sono sempre fatti portavoce e promotori. Avere l’ambasciata a Gerusalemme significa infatti riconoscerla come capitale di Israele, ma la città è contesa con i palestinesi, specie nella parte est, la parte araba.

La scelta di Trump arriva a rompere questa tradizione e pone gli USA in una situazione nuova e pericolosa, schierando il Paese solo dalla parte di Israele e perdendo la neutralità che ha permesso di avere solide alleanze con i paesi arabi in Medio Oriente (come ha dimostrato il famoso viaggio in Arabia di Trump).

Secondo gli analisti americani e non, Trump ha preso questa decisione perché ormai solo a livello internazionale e perché spinto dal genero, Jared Kushner, suo consigliere alla Casa Bianca, amico fin dall’infanzia della famiglia Netanyahu e rappresentante di quella parte dell’élite ebrea americana molto vicina alla politica di Israele che non vuole il riconoscimento dello stato di Palestina.

Inoltre, gli evangelisti americani da tempo vorrebbero che Gerusalemme fosse la capitale di Israele perché solo così si potrà compiere il ritorno del Messia sulla Terra: secondo un sondaggio Pew Center del 2014, l’82% degli evangelici USA crede che Israele sia stata data agli ebrei da Dio, contro il 40% degli ebrei americani. Per Trump, sempre più in bilico all’interno del suo paese, il sostegno dell’élite ebrea e dell’elettorato evangelico è ora fondamentale e dar loro Gerusalemme sarebbe la chiave per tenerli a sé.

Perché le ambasciate estere sono a Tel Aviv e non a Gerusalemme

Con la decisione di Trump, gli USA sarebbero il primo paese a spostare l’ambasciata in Israele a Gerusalemme. Tutte le nazioni del mondo hanno infatti la loro rappresentanza diplomatica a Tel Aviv. Questo perché Gerusalemme è contesa come capitale da Israele e Palestina: Gerusalemme Est è la parte araba della città e per i palestinesi è la loro capitale. Israele però occupa militarmente tutta la città, parte orientale compresa, dal 1967. Inoltre, si tratta della città sacra per gli ebrei, i musulmani e i cristiani.

Visto che la sovranità su Gerusalemme è una parte fondamentale della contesa israelo-palestinese, tutti gli Stati del mondo hanno le ambasciate a Tel Aviv proprio per non gettare benzina sul fuoco.

Trump e Gerusalemme, la rabbia del mondo arabo

Le reazioni di tutto il mondo arabo fanno capire quanto sia delicata la questione. “Signor Trump, Gerusalemme è la linea rossa per i musulmani”, ha avvertito Erdogan che ha annunciato la convocazione di un summit dei 57 Paesi membri dell’Organizzazione della cooperazione islamica, “in 5-10 giorni”, di cui ora è presidente di turno.

Anche un alleato importante come l’Arabia Saudita è contraria. Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele “rappresenterebbe una flagrante provocazione per i musulmani in tutto il mondo”, ha detto il re saudita Salman bin Abdulaziz Al Saud durante la telefonata con Trump, avvisando che fare una cosa del genere “prima del raggiungimento di una intesa minerebbe il negoziato di pace in corso e costituirebbe una escalation in tutta la regione”.

Il segretario generale della Lega araba, Ahmed Aboul Gheit, aveva invitato Trump a “evitare qualsiasi iniziativa capace di mutare lo status giuridico e politico di Gerusalemme”, sottolineando “la minaccia rappresentata da un tale passo per la stabilità della regione”.

Oltre a loro, si sono detti contrari il re giordano Abdullah, la Siria di Bashar al-Assad e il presidente egiziano al Sisi, ma non solo. Anche Papa Francesco ha lanciato il suo appello. “Gerusalemme è una città unica, sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani ed ha una vocazione speciale alla pace. Rispettate lo status quo”, ha detto il Pontefice.

Ambasciata USA a Gerusalemme: rischio terrorismo

Il vero rischio con lo spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme è scatenare una nuova intifada. Hamas è già pronta e basta un nonnulla a scatenare di nuovo la violenza nei territori. Lo scontro tra Israele e i palestinesi darebbe poi ulteriore fuoco alle polveri del terrorismo internazionale, mettendo gli USA di nuovo nel mirino dei terroristi sia all’estero (militari americani sono ancora presenti in Afghanistan e Iraq) sia in patria. Inoltre, se l’Europa non si farà sentire e non interverrà, potrebbe essere vista alleata degli States, risvegliando cellule terroristiche dormienti anche su suolo europeo.

Lorena Cacace

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