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Categories: Politica

Direzione PD, inizia la resa dei conti. Renzi: ‘Elezioni a breve’

Resa dei conti iniziata in casa dem con la direzione PD più attesa, la prima per Matteo Renzi semplice segretario. Smentite le notizie sulla sua assenza, l’ex premier prende la parola per ultimo, rilancia elezioni a breve e ottiene il voto unanime dell’assemblea sull’ordine del giorno per il pieno appoggio del partito al governo nascente di Paolo Gentiloni. C’è stata anche la minoranza, quella che ha festeggiato la vittoria del no al referendum, costato il governo al segretario; a parlare è stato Roberto Speranza che ha portato il messaggio dei bersaniani, chiedendo discontinuità rispetto al precedente esecutivo. Lo scontro passa anche dal congresso. Renzi scalpita e vuole arrivare a una soluzione nel più breve tempo possibile, anticipando congresso e primarie, per capire come rimettersi in gioco.

Il PD riparte da due dati di fatto: il mancato addio alla politica del segretario e le divisioni interne quasi insanabili. La direzione ha lo scopo ufficiale di dare il pieno appoggio al governo Gentiloni, che arriva con voto unanime, ma anche e soprattutto di scoprire le carte e dare il via alle ostilità tra maggioranza (renziana) e minoranza (bersaniana), con le altre correnti al momento alla finestra.

La direzione segna una prima vittoria di Renzi. “Oggi è un giorno bellissimo perché auguriamo buon lavoro a Paolo Gentiloni”, dice nel suo intervento finale il segretario. È però un passaggio successivo quello più importante: data per scontato il sostegno al nuovo esecutivo, Renzi ricorda che “è imminente il passaggio a elezioni politiche nei prossimi mesi“. Voto subito dunque, come chiedono tutti i partiti e nel frattempo il congresso.

Anche su questo tema è scontro: la minoranza di Bersani e Speranza sostiene che si potrà convocare solo con le dimissioni del segretario, la maggioranza ribatte che è solo un scusa perché ancora non hanno un candidato e Renzi rincara la dose: “Le strade sono due, o si fa o non si fa. Vorrei che si seguisse lo Statuto e che fosse l’assemblea domenica a decidere se fare il congresso”.

Ad aprire la riunione è stato il vice segretario Lorenzo Guerini che aveva già dato conferma della volontà di andare al più presto alle urne: “Il PD non ha paura del voto“, ha chiarito.

Dopo un breve intervento di Sergio Lo Giudice che chiede soprattutto di fare “attenzione alla richiesta di Angelino Alfano per gli Esteri”, è quello di Roberto Speranza a fare più rumore. La minoranza dem conferma la richiesta di discontinuità del prossimo governo sempre a marcia PD e lo fa forte del voto del 4 dicembre. “Abbiamo messo la testa sotto la sabbia anche dopo le Regionali”, attacca subito Speranza, sottolineando il “racconto di un’Italia Felix” opposta a quella reale.

“Così non siamo più noi stessi e il PD semplicemente muore”, continua. “Dobbiamo riconoscere nostri errori e avere il coraggio di cambiare”, insiste nel chiedere un “messaggio di discontinuità”. La richiesta è necessaria, dice. “Vedo ancora troppa continuità e troppa arroganza, non ci porta lontano la sicurezza di avere il 40% in tasca. Sembra quasi che dica: ‘Avete sbagliato a votare, ora vi faccio vedere io'”. Anche sul congresso, la richiesta è diversa, perché non sia “un votificio di una domenica mattina” o “un congresso arrogante per la rivincita del capo”. Se c’è rispetto per la scelta delle dimissioni, Speranza lancia anche un’accusa a Renzi di aver organizzato le manifestazioni sotto il Nazareno e gli attacchi sul web. “Il mio seggio è a disposizione”, conclude, rilanciando un suo possibile addio.

L’aria è tesa e deve intervenire uno dei padri fondatori del PD, Franco Marini, a ricordare che si sbaglia da entrambe le parti e che “non può essere tutta colpa di Renzi”.

L’ex premier ascolta tutti e prende la parola solo alla fine. “Si chiude l’esperienza di un governo a cui ero affenzionato anch’io e quando dico che si chiude, si chiude, punto”, dice, come a voler segnare la differenza tra il suo esecutivo e il prossimo.

Finiti i toni entusiastici sull’operato dei “mille giorni”, ora bisogna pensare al futuro. “Non si può negare la complessità della situazione. Se dite che il 59% del no è voto politico allora lo è anche il 41%“, attacca. “Non sono mai sfuggito alle mie responsabilità. Quel disegno di Italia è stato bocciato dagli elettorie e ora dobbiamo aprire una riflessione più ampia possibile, senza cedere a una rappresentazione macchiettistica sull’elettorato popolare perché altrimenti dobbiamo anche dire che il 40% non l’ha mai visto”.

Il prossimo passo è dunque il congresso su cui deciderà l’assemblea e su cui la minoranza poco potrà anche perché “non so se non è chiaro l’imminente passaggio a elezioni politiche nei prossimi mesi perché non abbiamo mai paura del confronto con le persone”. Lo scontro in casa PD è appena iniziato.

Lorena Cacace

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