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Chi è Salvatore Buzzi, la storia del boss delle cooperative

Il nome di Salvatore Buzzi riempie le pagine della cronaca giudiziaria e politica in questi giorni. Fondatore e presidente della cooperativa sociale 29 Giugno, da quanto emerge dalle inchieste per anni è stato il braccio destro di Massimo Carminati nella gestione di quella che ormai è diventata la Mafia Capitale. Le foto a cena con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e quelle con Ignazio Marino sono la parte pubblica di un uomo che ha dedicato al sociale parte della sua vita. Le intercettazioni in cui lo si sente dire che “con gli immigrati si guadagna più che con la droga”, le indagini, il libro mastro dei pagamenti ai politici, le pressioni criminali sono invece il lato che per anni è stato nascosto e che ora è stato portato alla luce. La sua storia personale è fatta di luci e ombre, da ex detenuto modello a braccio destro del boss di Roma.

La carriera di Salvatore Buzzi sembra uscire dalla fantasia di uno sceneggiatore. Ex bancario e vicino al mondo dell’estrema sinistra, negli anni Settanta viene condannato per omicidio colposo a 24 anni per aver ucciso il suo socio che lo ricattava.

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La sua vita ha un primo periodo di buio: entra in carcere a Rebibbia ed è proprio nell’istituto di pena che trova un nuovo mondo, una possibilità per rinasscere. Studia e, come riporta l’Espresso, nel 1983 si laurea in Lettere Moderne con 110 e lode. È il primo laureato del carcere romano, di quell’istituto che in quegli anni era al centro di un progetto innovativo per il reinserimento dei detenuti. A reggere le redini di Rebibbia c’è Luigi Turco e Mariapia Frangeamore, rispettivamente direttore e vicedirettrice: la loro idea di carcere è rivoluzionaria per l’epoca, vogliono dare davvero l’occasione del riscatto a chi ha sbagliato.

Aprono così le porte della prigione, con il lavoro dei detenuti e progetti innovativi tra cui il teatro. Buzzi trova la sua strada. Recita nell’Antigone davanti a una platea composta di personalità di primissimo piano: ad assistere il 25 giugno 1983, come racconta lo stesso Buzzi sul sito della cooperativa 29 Giugno, ci sono Francesco Cossiga, allora Presidente del Senato, Martino Martinazzoli, Guardasigilli, e Pietro Ingrao ex Presidente della Camera. L’anno dopo, Buzzi torna di nuovo protagonista con il suo intervento al convegno “Le misure alternative alla detenzione e ruolo della comunità esterna”: chiede che la riforma delle carceri venga applicata subito per dare ai detenuti misure alternative di pena, cercare di reinserirli nel tessuto sociale. Il suo intervento viene applaudito, in molti lo segnalano per la forza e la convinzione delle sue parole. Stefano Rodotà, allora deputato della sinistra indipendente, è colpito dalla relazione e ne parla con la stampa nazionale.

L’anno dopo, il 29 giugno 1985, viene fondata la cooperativa “29 Giugno”. Buzzi decide di mettere a frutto quanto ha vissuto in carcere per lui e per tutti i detenuti, cercando di costruire percorsi lavorativi sociali fuori dalle carceri.

Con l’attuazione della riforma infatti, i carcerati potevano usufruire per i permessi lavorativi, tornando in cella per la notte, ma nessuno avrebbe mai dato lavoro ai galeotti: da qui l’idea di creare una cooperativa che si occupasse di dare lavoro a queste persone “indesiderate”. Buzzi era ancora in carcere e non può firmare l’atto costitutivo: lo fanno per lui Don Luigi Di Liegro, allora a capo della Caritas Diocesana, e Laura Lombardo Radice, moglie di Ingrao. Lo stesso Ingrao, racconta ancora Buzzi, scrive un articolo su L’Unità per raccontare la prima impresa della cooperativa, 60mila barattoli di pomodori in conserva, spingendo il comune di Roma ad acquistarli.

Nel 1990 esce dal carcere e può entrare in prima persona anche a livello legale nella sua creazione. “La 29 Giugno è cooperativa sociale di tipo b nata a Roma nel 1985 e ha come scopo sociale l’inserimento lavorativo delle persone appartenenti alle categorie protette svantaggiate, disabili fisici e psichici, tossicodipendenti ed ex, e più in generale delle persone appartenenti alle fasce deboli della società (senza fissa dimora, vittime della tratta, immigrati)”, si legge nella presentazione.

Da allora la cooperativa ha aiutato migliaia di persone, i più deboli, dai detenuti agli immigrati, ai tossicodipendenti a persone con problemi. Li ha aiutati dando un lavoro, un rifugio sicuro, una famiglia, grazie ai volontari e a tutti coloro che hanno reso la cooperativa un modello di sviluppo.

Il detenuto modello diventa un imprenditore sociale di successo: Buzzi è all’apice della sua carriera, è un esempio di come si possa ricominciare a vivere.

Invece, sotto la luce si addensa un’ombra molto oscura. Al momento non è ancora chiaro come e quando sia entrato in contatto con Carminati, ex Nar. Quello che emerge è il potere economico che ha accumulato negli anni. Buzzi segue “l’odore dei soldi”, non importa se vengano da destra o da sinistra. Diventa il “re delle cooperative”, a lui fanno capo associazioni e consorzi come l’Eriches 29; nel bilancio 2013 i ricavi sono vicino ai 59 milioni di euro, con un patrimonio di 16,4 milioni.

Oggi sappiamo che in parte sono soldi sporchi, ottenuti con la corruzione e lo sfruttamento delle situazioni più delicati, dei più deboli, mangiando alle spalle del bene pubblico, corrompendo e usando a sua piacimento politici e amministratori corrotti. Come e perché il detenuto modello sia diventato uno dei boss di Roma è una storia ancora da scrivere.

Lorena Cacace

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