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Apple contro l’Fbi: la lotta al terrorismo vale la nostra privacy?

Siete disposti a rinunciare alla privacy in nome della lotta al terrorismo? È la domanda a cui Apple ha risposto davanti all’ingiunzione del giudice federale Sheri Pym che, su ordine dell’Fbi, ha chiesto di sbloccare il cellulare dell’autore della strage di San Bernardino, Syed Rizwan, in cui morirono 14 persone. Tim Cook, Ceo di Apple, ha detto no. Forzare il blocco criptato di quello smartphone creerebbe un “precedente pericoloso”, come ha dichiarato lo stesso Cook. “Non è qualcosa che prendiamo alla leggera. Riteniamo di dover far sentire la nostra voce di fronte a ciò che vediamo come un eccesso da parte del governo USA”, ha spiegato in una lettera aperta sul sito della Apple. Anche Google e Whatsapp sono scese a fianco di Cook. Sundar Pichai, a.d. del colosso di Mountain View, lo ha fatto tramite una serie di tweet. Jan Koum, ceo di WhatsApp, lo ha ribadito con chiarezza. “La nostra liberà è a rischio, dobbiamo impedire la creazione di un precedente del genere”, scrive sulla sua pagina Facebook. Il caso sta spaccando l’America e ha valicato i confini, aprendo un dibattito in tutto il mondo.

La vicenda è spinosa e ha mille risvolti. Iniziamo dai fatti. Il giudice federale ha ordinato ad Apple di bypassare il codice di protezione e quello di autocancellazione dei dati, in modo che l’Fbi potesse inserire il codice di sblocco un numero infinito di volte. Questo è necessario perché il sistema operativo iOS permette di inserire la passcode un massimo di dieci volte, dopo di che subentra il blocco e l’autocancellazione dei dati. Gli stessi dati sono criptati: qualsiasi operazione che viene fatta tramite smartphone è sì tracciabile ma protetta. La stessa Apple non può decriptare i dati: forzare la decriptatura, come ha chiesto l’Fbi, è una cosa che va oltre i limiti.

Non è solo una questione commerciale, come alcuni stanno ipotizzando. Vero che sarebbe difficile vendere milioni di dispositivi, come fa Apple a ogni uscita, se poi chiunque potesse violarli. Il discorso è più articolato e riguarda la libertà di tutti noi, quella che sbandieriamo davanti ai terroristi come conquista fondamentale per cui “siamo diversi da loro”.

“L’FBI vuole farci sviluppare una speciale versione di iOS priva di barriere di sicurezza, per poi installarla su uno degli iPhone ottenuti nel corso delle indagini e ottenerne i dati contenuti. Un software del genere, che al momento non esiste, sarebbe in grado di disattivare le protezioni di qualunque iPhone”, ha scritto Cook nella lettera aperta pubblicata sul sito di Apple.

Anche Edward Snowden, la talpa dell’NSA che ha svelato come le autorità e i governi dell’Occidente libero spiano i loro concittadini, ha difeso questa scelta. Apple ha già dato tutti i dati disponibili sul cellulare alle autorità: quello che l’Fbi chiede è troppo. Creare un software per aprire anche un solo smartphone significa dare una chiave di accesso per tutti i dispositivi, a chiunque. La sicurezza della rete è fondamentale per le nostre vite: con lo smartphone paghiamo i conti, facciamo bonifici, acquistiamo online, parliamo con i nostri amici, chattiamo, condividiamo foto, video, immagini. Una volta creato, quel software potrebbe dare libero accesso a tutti gli smartphone, da parte di chiunque, terroristi compresi.

Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza”, recita una delle frasi più note di Benjamin Franklin. Se non dobbiamo cedere alla paura quando i terroristi sparano per le vie di Parigi, perché dobbiamo cedere il nostro diritto alla privacy e alla sicurezza in rete?

Lorena Cacace

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