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25 aprile, quei politici che vorrebbero abolire la festa della Liberazione

Il 25 aprile è la festa della Liberazione, il giorno in cui l’Italia celebra la fine delle barbarie fascista, ma è anche il giorno delle polemiche. La politica nostrana ha usato questa giornata per rimarcare le differenze e continuare a dividere piuttosto che unire. Il centrodestra non sempre è riuscito a prendere le distanze dall’epoca fascista e dalla guerra; partiti d’ispirazione neofascista, pur piccoli a livello numerico, continuano a glorificare quei tempi facendosi scudo dei falsi miti di “patria e onore”; nuove formazioni politiche prendono le distanze perché troppo “retorica”, mentre sopra la linea del Po ci si lamenta di “troppe bandiere rosse”. Davvero c’è ancora chi usa il 25 aprile per scopi politici? Ebbene sì.

La tesi usata da chi vuole fare polemica sul 25 aprile è che “i morti sono uguali“. Per la galassia della destra italiana (e non solo), i partigiani non sono degli eroi, sono dei semplici italiani morti in nome di un ideale, uguali in questo ai repubblichini. Per farla breve, non ci sono distinzioni tra buoni e cattivi perché sono tutti italiani e sono tutti morti. Quello che però non dicono è che i partigiani hanno combattuto per liberare il paese dal nazifascismo, gli altri per mantenerlo. No, i morti non sono tutti uguali davanti alla storia: da un lato c’è chi ha combattuto per la libertà, dall’altra chi ha impugnato le armi per la dittatura.

La destra italiana ha faticato a gestire il fardello del passato. Forse il politico che più ci ha tentato è stato Gianfranco Fini che, fin dalla svolta di Fiuggi, pose il valore dell’antifascismo come pietra fondante della nuova destra italiana. Altri esponenti a lui vicini, come Ignazio La Russa o Maurizio Gasparri, hanno vissuto la festa della Liberazione come un affronto al passato fascista, ritornando spesso sul ritornello “i morti sono uguali”.

Se Fini nel 2009 scriveva che il 25 Aprile è “la festa della libertà di tutti gli italiani, senza ambiguità, sen­za reticenze, senza se e sen­za ma“, il suo più fedele alleato di allora, Silvio Berlusconi non era molto d’accordo. Fin dall’esordio in politica nel 1994 dichiarò che il 25 Aprile era una ricorrenza che divide più che unire, rimanendo negli anni successivi sempre molto diffidente (se non proprio contrario) a partecipare alle cerimonie, anche da Presidente del Consiglio. Dopo aver equiparato partigiani e repubblichini, nel 2009 la svolta: va a Onna e partecipa alla cerimonia con i partigiani de L’Aquila. “Il 25 Aprile, la festa di tutti gli italiani che amano la libertà e vogliono restare liberi, è l’occasione per riflettere sul passato ma anche sul presente e sul futuro“, dichiarò allora.

Più complesso è stato il rapporto tra la Lega Nord e il 25 aprile. “Noi della Lega siamo la continuazione dei partigiani che hanno combattuto per la libertà: la Lega non farà mai un accordo politico con i fascisti, o come cavolo si chiamano adesso“, dichiarava a piena voce Umberto Bossi nel 1994. Lo scontro all’inizio era con Roma Ladrona e il Sud “palla al piede”: erano gli anni della Secessione e i partigiani del Nord era eroi perché liberarono le terre del Nord. Con il passare degli anni e l’arrivo di nuove alleanze politiche, la festa della Liberazione è diventata una scusa per attaccare la sinistra, rea di “dimenticarsi” i partigiani che non erano comunisti. Con l’avvento di Matteo Salvini, la svolta è completa: il 25 aprile è una bella festa, peccato “per tutte quelle bandiere rosse“. Si arriva così ai giorni nostri con il segretario del Carroccio che vuole manifestare “contro il regime di Renzi” il 25 aprile, scegliendo le celebrazioni della liberazione dal nazifascismo per fare propaganda elettorale.

Infine ci sono i nuovi arrivati, il M5S. I grillini si sono sempre dichiarati né di destra né di sinistra. Sulla carta, dovrebbero quindi festeggiare la Liberazione al pari di tutti gli italiani (di cui tra l’altro si fregiano di essere portavoce). Invece c’è chi tra loro legge le celebrazioni come uno spreco, un momento solo retorico, come fece il senatore Vincenzo Santangelo. Nel 2013, appena arrivati in Parlamento, iniziarono subito le discussioni se partecipare o meno alle celebrazioni ufficiali. Alla fine si sceglie una via di mezzo: sì alle celebrazioni ma come semplici cittadini. “Nell’inciucio tra il Pdl e il Pdmenoelle il 25 aprile è morto“, scriveva Beppe Grillo sul blog, voce ufficiale del movimento, nel 2013. Anche loro, come i partiti di vecchia data, usano la Liberazione a proprio uso e consumo, contro qualcuno e non in memoria di qualcosa.

Nel corso degli anni, in tanti hanno provato a macchiare la festa della Liberazione, per disegno politico o per qualche minuto di celebrità sui media. Se non ci sono riusciti è perché l’antifascismo è il valore di tutti gli italiani: buon 25 Aprile a tutti noi.

Lorena Cacace

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