Trattativa Stato-mafia, il Quirinale pubblica la testimonianza di Napolitano: ‘Mai saputo di accordi’ [PDF]

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Il Quirinale ha pubblicato la deposizione di Giorgio Napolitano, sentito come testimone nell’ambito del processo sulla presunta tattativa Stato-mafia in particolare sulla lettere che gli mandò il suo ex consigliere Loris D’Ambrosio temendo di essere stato “un umile scriba di indicibili accoridi“. Come già anticipato nel giorno della deposizione, il Colle ha voluto accelerare i tempi per dare alla stampa e all’opinione pubblica l’intera testimonianza rilasciata dal Capo dello Stato. Napolitano ha risposto a tutte le domande fatte dai pubblici ministeri e dai legali dei diversi imputati tra cui Marcello Dell’Utri, l’ex ministro Nicola Mancino, Totò Riina, Leoluca Bagarella, Antonio Cinà e Giovanni Brusca. Una “piena collaborazione”, come già avevano rilevato i magistrati, da parte del Presidente dimostrata nelle 86 pagine della trascrizione. Loris D’Ambrosio era “animato da spirito di verità“, ha detto a proposito del suo ex consigliere giuridico, aggiungendo che erano “una squadra di lavoro“.

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Nell’ambito della deposizione sulla trattativa Stato-mafia, Giorgio Napolitano ha riferito che all’epoca non aveva mai saputo di accordi per fermare le stragi. A riferire questa notizia è stato Giovanni Airò Farulla, avvocato del Comune di Palermo. Uno degli avvocati di Nicola Mancino ha inoltre informato che il Presidente della Repubblica non ha parlato mai esplicitamente di trattativa e del fatto che potesse essere oggetto di attentato nel periodo che va dal 1992 al 1993. Alcuni legali hanno preferito non rivolgere al Presidente della Repubblica delle domande specifiche per rispetto del suo ruolo istituzionale.

L’avvocato Luca Cianferoni, legale di Totò Riina, ha dichiarato che il Capo dello Stato avrebbe tenuto sostanzialmente la posizione di spettatore delle vicende. Sarebbe stata omessa invece una delle domande più importanti, quella sul colloquio tra il Presidente Napolitano e Oscar Luigi Scalfaro, quando pronunciò il famoso “Non ci sto!”. La Corte non ha ammesso che venisse posta questa domanda.

Il Presidente della Repubblica ha ricevuto nei saloni del Colle la Corte d’Assise di Palermo, presieduta dal giudice Alfredo Montalto, dai PM e dai legali di vari imputati, come Marcello Dell’Utri, l’ex ministro Nicola Mancino, Totò Riina, Leoluca Bagarella, Antonio Cinà e Giovanni Brusca. Napolitano ha dovuto riferire che cosa sa a proposito di questi presunti rapporti tra lo Stato e la criminalità organizzata, in particolare del biennio 1992-1994. L’obiettivo è quello di ricostruire un mosaico molto scomposto, che mira a dare un volto a certi responsabili di alcuni fatti che sono accaduti soprattutto a Palermo proprio in quegli anni.

La deposizione di Napolitano

Il Presidente della Repubblica ha dovuto riferire ai giudici su quanto ne sappia innanzitutto in relazione alla lettera del 22 luglio 2012 del giurista Loris D’Ambrosio. Proprio in questa lettera il consigliere giuridico del Quirinale aveva confessato di temere di essere stato uno strumento per la realizzazione di accordi che non potevano essere riferiti. Il Capo dello Stato dovrà rispondere anche ad alcune domande di un possibile progetto d’attentato di tipo mafioso nei suoi confronti e dovrà riferire se, in un dato periodo della storia della Repubblica, sia stato sottoposto a maggiori tutele.

Attraverso questa deposizione di Giorgio Napolitano hanno avuto modo di confrontarsi due istituzioni, fra le quali ci sono state anche delle tensioni: la Presidenza della Repubblica e la Procura di Palermo. I motivi di tensione sono stati rappresentati da vari fattori, a cominciare dall’intercettazione che i magistrati palermitani hanno fatto in relazione alle telefonate tra il Presidente della Repubblica e Nicola Mancino. Queste intercettazioni sono state successivamente distrutte, ma si sa che l’ex ministro dell’Interno chiedeva al Capo dello Stato di intercedere eventualmente per coordinare alcune Procure d’Italia che indagavano sulla trattativa.

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Nessuno ha potuto assistere alla deposizione di Napolitano al Colle; non è stato ammesso l’uso di cellulari, di computer e di strumenti di registrazione. Tuttavia, come ha riferito il presidente della Corte d’Assise, l’interrogatorio è stato registrato e sarà trascritto per essere messo a disposizione della Corte.

La Corte aveva ribadito la necessità di ascoltare le parole di Napolitano, nonostante alcuni avvocati avessero sottolineato come ci fosse anche la possibilità di revocare l’interrogatorio del Capo dello Stato. Difatti Napolitano aveva inviato al collegio giudicante una lettera, in cui spiegava di non avere nulla da aggiungere in merito alla questione. Secondo i documenti che sono stati trattati nel corso dell’inchiesta, l’intenzione di Cosa Nostra sarebbe stata quella di ottenere forti sconti di pena. Lo hanno specificato soprattutto i Servizi Segreti, in un documento datato 20 luglio 1993, con il quale hanno messo in guardia sull’intenzione della mafia di ricavare delle nuove forme di trattativa. Furono proprio i Servizi Segreti che avvertirono del possibile rischio di attentati nei confronti dei presidenti della Camera e del Senato di allora, che erano Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini.

La testimonianza di Napolitano, che si è sempre dichiarato disponibile a dire ciò che sa, è durata circa tre ore. Il Presidente della Repubblica ha risposto a tutte le domande, senza opporre limiti di riservatezza. Non si è appellato alle sue prerogative costituzionali e non ha fatto nemmeno obiezioni riguardo alla pertinenza degli argomenti che gli sono stati proposti. E’ proprio questo che ha specificato una nota del Quirinale in merito all’udienza. Il Capo dello Stato ha risposto su tutto, sottolineando di voler contribuire alla ricerca della verità.

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Le dichiarazioni di Ingroia

L’ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, intervistato a proposito della deposizione del Presidente della Repubblica, ha sottolineato che l’interrogatorio non potrà essere, a proprio giudizio, che un’occasione mancata più che conquistata. Ingroia ha voluto specificare: “Credo che oggi sia un momento importante non solo per la giustizia, ma anche per la democrazia del nostro Paese: il fatto che uno Stato in cui anche il capo dello Stato, avendo cose da riferire secondo una Corte d’Assise, venga sentito come testimone, è un atto importante di democrazia“.

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