Gli errori più comuni in francese: pronuncia e ortografia quelli più frequenti

Quali sono gli errori più comuni in francese? Pur essendo molto simile all’italiano – entrambe le lingue, com’è noto, sono neolatine – le differenze tra le due sono parecchie: nonostante la fonetica melodiosa e la spiccata ricchezza espressiva che le contraddistingue, differiscono per struttura grammaticale, sintassi, ortografia e, ovviamente, per pronuncia. E’ proprio da quest’ultimo aspetto che, dopo quelli in inglese, vogliamo cominciare la nostra breve rassegna degli errori più frequenti in francese che, come sappiamo, proprio per la pronuncia segue delle regole ben precise.

Pronuncia

Uno dei primi errori nel quale il francesista dilettante incappa riguarda le lettere finali, molte delle quali in francese non si pronunciano: sono mute, infatti, t, d, s, p, x, z (ad esempio: droit, pronunciato druà (dritto), anglais, anglè (inglese), gris, grì (grigio), e via dicendo); la ‘efinale che non porta accenti (rue, route, école), la terminazione del femminile -e (pleine, petite, grande) e la terminazione del plurale -s (les cahiers, le livres, les disques).
Lo stesso dicasi, nei verbi, per la terza persona plurale -ent, che non va mai pronunciata.

Altro errore riguarda la ‘c‘ che si pronuncia ‘s‘ quando è seguita dalle vocali ‘e‘ e ‘i‘: ad esempio nel caso degli aggettivi dimostrativi ce, cet, cette. La pronuncia sarà ‘s’ anche in presenza di cediglia (ç), mentre in tutti gli altri casi sarà come la nostrac‘, dura, di cucina, caso, camino, etc.

Ci sono poi i dittonghi, di cui la lingua francese è piena zeppa, spesso al centro degli errori di pronuncia più frequenti:
ai ed ei: e (chiusa o aperta), laisser, faire, baleine
ou: u, fou, mou
au ed eau: o (chiusa), beau
oi: ua, toi, moi
u: yu (ossia le famosa ‘uchiusa, appunto, alla francese)

Un discorso a parte va fatto per la ‘e‘ che, come abbiamo detto, è normalmente muta se si trova in fondo alla parola. Ma negli altri casi? Ecco un altro errore ricorrente: se all’interno di un gruppo è preceduta da una sola consonante pronunciata, non si pronuncia (mad(e)moiselle, s(e)maine, f(e)nêtre); se invece è preceduta da più di una consonante pronunciata, si pronuncia (probablement, Bretagne, prenez). La ‘e‘ del pronome personalele‘, infine, utilizzato nell’imperativo si pronuncia (dites-le, prenez-le, dis-le).

Ortografia

Forse tenuti non proprio in gran conto, nella lingua francese un ruolo fondamentale è svolto dagli accenti: l’utilizzo di un accento piuttosto che un altro, infatti, compromette il significato di una parola, oltre che la sua correttezza dal punto di vista grammaticale. Ma quali sono gli accenti francesi? Guardiamoli insieme.

Accento acuto (é), utilizzato solamente sulla vocale ‘e‘ (écrire, étudiant)
Accento grave (è), sulle tre vocali a, e, u (je vais à l’école)
Accento circonflesso (^) su tutte le vocali (rêve, pâle, drôle)
Dieresi (ossia i due puntini) sulle vocali e, i, u, nel caso vi siano vocali vicine che devono essere entrambe pronunciate (Noël, naïve)
Cediglia, come dicevamo, utilizzata solo per la ‘c‘ (français, garçon).

Grammatica e sintassi

Chiunque abbia avuto modo, a scuola o per diletto, di approcciare alla lingua francese, saprà bene quanto sia impegnativo studiarne la grammatica e la sintassi che, per meccanismo e struttura, presentano non poche difficoltà. Verbi, omissione di preposizioni, ordine sintagmatico scorretto o i famigerati italianismi, sono gli elementi che creano sovente confusione in chi è alle prese con il francese.

Uno degli errori grammaticali sempre in agguato è il famoso (per chi lo ha studiato) accordo del participio passato, il passé composé, che in francese si accorda, in linea di massima, solo in 3 casi: con l’ausiliare ‘essere‘ (nous sommes allés, noi siamo andati), con i pronomi personali complemento oggetto (je les ai vue, li ho visti), con l’ausiliare ‘avere‘, se il complemento oggetto precede il verbo (j’ai mangé une pomme, ho mangiato una mela).

Altro errore frequente, quello dovuto alla confusione generata dall’utilizzo degli ausiliari etre e avoir. In francese, infatti, i verbi richiedono, di norma, l’ausiliare avoir, mentre etre viene utilizzato solo in 2 casi: con alcuni verbi intransitivi di movimento, o che esprimono un cambiamento di stato (aller, venir, arriver); e con i verbi pronominali.

Molti verbi francesi, infine, a differenza dell’italiano in cui richiederebbero l’ausiliare ‘essere’, si costruiscono invece con ‘avere‘: per cui, una frase come ‘Maria è stata molto contenta‘ sarà tradotta in francese con ‘Marie a été tres contente‘, e nonMarie est été tres contente‘. Stessa regola anche per i verbi courir (correre), réussir (riuscire), maigrir (dimagrire), e via di seguito.

Concludiamo, così come avevamo fatto anche per gli errori più frequenti in inglese, con i famigerati italianismi, o altrimenti detti ‘falsi amici‘, ossia quei vocaboli molto simili all’italiano che hanno, però, in francese, un significato totalmente diverso.
Guardiamone brevemente alcuni:
affréter: non affrettare ma noleggiare
appointement: non appuntamento ma salario
assez: non assai ma abbastanza,
conte: non conte ma fiaba,
confetti: non confetti ma coriandoli
embrasser: non abbracciare ma baciare
estrade: non strada ma podio
gare: non gara ma stazione
limon: non limone ma fango
paysan: non paesano ma contadino
salir: non salire ma sporcare
tante: non tanto ma zia
user: non usare ma logorare
ville: non villa ma città

Inutile sottolineare che la grammatica francese è ricca, ricchissima di eccezioni: pertanto, in questa sede, ci siamo limitati ad evidenziare gli errori più ricorrenti, quelli cioè dovuti alla pronuncia e alla confusione generata da questa o quella regola, senza la pretesa di dare delle lezioni di grammatica o, peggio ancora, di sintassi! Il nostro intento è quello di fornire uno spunto di riflessione sulle differenze che vi sono tra la nostra bella lingua e gli idiomi stranieri e sulla confusione che si genera quando si utilizza un termine, piuttosto che un altro, pensando di azzeccarne la traduzione. Come per l’inglese, anche per il francese, l’invito è uno solo: evitare, quanto più è possibile, di pensare in italiano e soprattutto, evitare la traduzione letterale.

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