Analisi grammaticale: indicativo italiano, tempi verbali, significato e uso

Bentornati al nostro appuntamento con la grammatica italiana spicciola. Ancora una volta ci immergiamo nel fantastico mondo dei verbi, un argomento praticamente infinito e dalle molteplici potenzialità. Dopo aver visto cosa si intende per verbo e le sue classificazioni, dopo aver parlato dei verbi ausiliari ecco che finalmente arriviamo ai fatidici modi verbali. Cominciamo dunque dal principio, ovvero dall’indicativo. In linea generale possiamo dire che l’indicativo è un modo verbale finito che esprime fondamentalmente una condizione di fatto, testimonia una realtà: si usa per indicare normalmente o una certezza o una possibilità estremamente probabile.

Come è facile intuire, l’indicativo è di sicuro il modo verbale più utilizzato. Normalmente l’indicativo viene utilizzato nelle proposizioni principali, per esempio ‘Io mangio una mela’ (come si evince, è un dato di fatto), ma talvolta può finire un una subordinata, per esprime sicurezza, come in ‘Non dovresti preoccuparti, io salirò su quel treno’. Il modo indicativo è quello formato dal maggior numero di tempi verbali:

presente (Io mangio): si tratta del tempo verbale più usato per inquadrare temporalmente l’azione del soggetto. Con esso si fa riferimento al presente, un concetto quanto mai ampio perché può significare il momento preciso in cui si parla o un lasso di tempo decisamente più variabile. Un uso particolare del presente si fa nelle narrazioni del passato, per esempio ‘Leonardo Da Vinci nasce il 15 aprile 1452’

passato prossimo (Io ho mangiato): viene utilizzato per avvenimenti non contemporanei, ma classificati comunque in un momento abbastanza recente. Viene considerato una forma di passato ‘inclusivo’, in quanto gli accadimenti narrati avvengono comunque in una dimensione temporale di cui fa parte l’enunciato stesso. Se vi state chiedendo che differenza ci sia con l’imperfetto, ecco il passato prossimo ci parla di un evento avvenuto in un passato vicino al momento contemporaneo, ma ben collocabile, mentre per quanto riguarda l’imperfetto non è possibile collocarlo esattamente in una cronologia

imperfetto (Io mangiavo): qui siamo nel cosiddetto tempo ‘imperfettivo’, ovvero non esattamente collocabile in una cronologia. Con questo tempo verbale normalmente tendiamo a sottolineare lo svolgersi di un evento, il ruo ripetersi o il suo perdurare nel tempo. Fa parte comunque dei tempi del passato, anche se l’inizio e la fine dell’azione non sono ben determinati. Si usa di solito per l’aspetto descrittivo di una frase

trapassato prossimo (Io avevo mangiato): come dice il nome stesso, si tratta di un tempo passato antecedente allo stesso passato prossimo. Si definisce in pratica una distanza più ampia dal presente, si sottolinea ulteriormente come il momento evidenziato sia già passato

passato remoto (Io mangiai): come il passato prossimo, è un tempo verbale ‘perfettivo’, cioè che esprime la compiutezza dell’evento in un momento perfettamente collocabile cronologicamente, ben diverso e antecedente a quello dell’enunciato. A differenza del passato prossimo, non ha nessuno rapporto con il presente, in quanto già conclusosi da tempo (Leonardo Da Vinci nacque il 14 aprile 1452)

trapassato remoto (Io ebbi mangiato): come nel caso del trapassato prossimo, qui parliamo di eventi che non hanno nulla a che vedere con il presente, conclusi molto tempo fa in un periodo ancora anteriore a quello del passato remoto. Attualmente non lo si usa spesso, soprattutto nella forma parlata e normalmente lo si utilizza nelle subordinate

futuro semplice (Io mangerò): qui indichiamo posteriorità rispetto al momento in cui l’enunciato fa riferimento, sempre con aspetto predicativo. Qui parleremo di avvenimenti che devono ancora svolgersi, forse non del tutto certi, ma estremamente probabili

futuro anteriore (Io avrò mangiato): questo poco utilizzato tempo verbale indica in pratica la compiutezza di un evento che accadrà solo nel futuro. Normalmente viene usato anche per indicare supposizioni o incertezze

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