Web Tax in Italia, cos’è e come funziona

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E’ stato presentato l’emendamento alla legge di Bilancio 2018 che introduce la Web Tax in Italia e il monitoraggio dei flussi finanziari significativi delle attività digitali pienamente dematerializzate, a cura dei firmatari dell’iniziativa: Massimo Mucchetti, Luigi Marino, Gianluca Susta e Mauro Maria Marino. Cos’è la Web tax 2017 e come funziona? Vediamolo di seguito.

È stato presentato un nuovo emendamento alla manovra per introdurre la web tax all’italiana.

Web Tax 2017 per l’equità fiscale
Con la Web tax 2017 si vuole arrivare alla regolamentazione della tassazione per le multinazionali che operano in Rete, con l’obiettivo di garantire equità fiscale e combattere la concorrenza sleale. Il presidente della commissione Industria del Senato, Massimo Mucchetti, ha illustrato nel novembre 2017 il suo emendamento che introduce la nuova imposta sulle transazioni digitali.

Web Tax: Boccia apripista

Voluta fortemente dal deputato PD Francesco Boccia, la web tax si pone come il tentativo di far pagare le imposte indirette alle aziende multinazionali che operano e fanno profitti nel mondo senza utilizzare la partita Iva del Paese in cui erogano i servizi o commercializzano prodotti.

Web Tax: cos’è? Il significato
In soldoni, cos’è la web tax? E’ una tassa sui ricavi digitali prodotti in Italia dai mega colossi del web, dalle aziende cosiddette Over the top, come Google e Facebook. Queste due aziende, ad esempio – come riporta la relazione all’emendamento – avrebbero eluso imposte per 550 milioni nel triennio 2013-2015. Come funziona la Web Tax? Lo ha spiegato il senatore secondo cui l’emendamento si basa su tre pilastri.

Web tax: come funziona?

Come funziona la Web Tax? Il primo punto dell’emendamento sulla Web Tax è un’azione di monitoraggio da parte dell’Agenzia delle entrate. Il secondo punto è l’accertamento della stabile organizzazione da parte dell’Agenzia delle entrate, che opererà attraverso due soglie: una è quella di 1.500 transazioni, l’altra di 1,5 milioni di ricavi in sei mesi. Se le soglie dovessero essere superate, l’azienda sarà convocata per accertare la sua posizione. Il terzo punto invece è proprio la tassa sui ricavi. Ossia “l’introduzione della tassa del 6% che si applica a tutte le imprese che non hanno una stabile organizzazione”. ”Questa formulazione protegge in modo totale le imprese italiane”, spiega Mucchetti rispondendo alle critiche di chi parla di doppia imposizione.

Per evitare la doppia imposizione delle imprese italiane, “i clienti dei servizi web trattengono il 6% dalla fattura e lo versano agendo da sostituti di imposta. I fornitori di questi servizi in sostanza fatturano 100 e ne guadagnano 94 perché 6 lo tiene il cliente per versarlo allo Stato. Queste imprese che si vedono trattenuto il 6% hanno diritto a un credito di imposta di pari entità che può essere utilizzato per diminuire il versamento che il soggetto dovrà fare allo Stato per le sue attività”. E’ stato infatti introdotto il credito di imposta per le imprese che pagano già le tasse in Italia. Il credito di imposta può essere usato per diminuire l’importo del versamento dell’Ires o dell’Irap.

Web tax, l’emendamento per l’abolizione dell’evasione fiscale

L’emendamento sulla web tax è in sostanza una rielaborazione del disegno di legge presentato da Mucchetti lo scorso anno. Ora però è in chiave emendamento alla manovra e con un’aliquota più bassa. In pratica con la formula del credito di imposta studiata per l’introduzione della webtax “i clienti dei servizi web trattengono il 6% dalla fattura e lo versano agendo da sostituti di imposta. I fornitori di questi servizi in sostanza fatturano 100 e ne guadagnano 94 perché 6 lo tiene il cliente per versarlo allo Stato. Queste imprese che si vedono trattenuto il 6% hanno diritto a un credito di imposta di pari entità che può essere utilizzato per diminuire il versamento che il soggetto dovrà fare allo Stato per le sue attività”.
Oltre all’Ires, spiega Mucchetti, il credito di imposta potrà essere esercitato per “Irap, contributi previdenziali, premi Inail, fatture a soggetti terzi – aggiunge – per un’impresa web che è reale e ha un’attività impiantata in questo Paese in un modo o nell’altro questo 6% viene recuperato. Per un’impresa che non ha stabile organizzazione o non ha un bilancio italiano importante è evidente che questo credito di imposta non funziona ma è esattamente quello che vogliamo”.

Web tax: ebay dice no con una petizione

Lo scorso settembre eBay aveva deciso di protestare contro la webtax spiegando di non essere un soggetto venditore, ma che la tassazione avrebbe dovuto riguardare i venditori professionali che operano online. Infatti eBay, come piattaforma, non vende nulla direttamente. Il testo della petizione recitava: “Noi sottoscritti, chiediamo all’Unione Europea di rivedere i propri propositi di riforma dell’IVA e di adottare le seguenti misure a protezione delle piccole imprese e dei consumatori europei: 1) Rinunciare all’introduzione di nuove imposte sulle vendite in area UE e sostenere le piccole imprese europee favorendo soglie IVA più elevate e armonizzate per le vendite a distanza. 2) Contribuire a contenere i prezzi mantenendo le attuali norme per le importazioni di valore esiguo da paesi non UE. 3) Ridurre il peso della burocrazia introducendo un database di riferimento per le piccole imprese europee, che faciliti loro l’individuazione dell’aliquota IVA corretta per i singoli prodotti nei vari paesi.

Web tax: Amazon, Airbnb e le altre

Dopo l’introduzione della tassa sugli affitti Airbnb e in attesa della web tax europea, si accelera con l’emendamento alla legge italiana per contrastare l’evasione fiscale tipica delle transazioni online, intese come commercio elettronico diretto o indiretto che sfuggono al regime di tassazione dei Paesi dove vengono fruiti i beni o i servizi venduti e sui quali si producono ricavi. A noi non resta che ricordare i numeri dei bilanci ufficiali: le prime cinque imprese digitali per capitalizzazione, e cioè Amazon, Google, Apple, Microsoft e Facebook, sono anche le cinque più grandi imprese del mondo per valore. Realizzano il 60% delle vendite e dei profitti fuori dagli Stati Uniti, lasciandovi solo il 10% delle tasse pagate. L’esigenza resta quella di non consentire che società estere non paghino le tasse nei Paesi dove operano, ma in quelli dove hanno la sede legale che, molto spesso, hanno un’imposizione fiscale molto più bassa di quella dei Paesi membri dell’Unione europea.

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