Reato di tortura, è legge: cos’è e cosa prevede il testo approvato in via definitiva

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Il reato di tortura in Italia da oggi esiste. Col voto di mercoledì 5 luglio, la Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge a firma PD, presentato dal senatore Luigi Manconi, per inserire il reato di i tortura nell’ordinamento italiano: 198 i sì (PD e Ap), 35 i no (Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia), 104 gli astenuti (M5S, Scelta Civica, Sinistra italiana e Mdp). Non sono mancate le polemiche, giunte da destra e da sinistra, per una legge frutto di 4 anni di rinvii e mediazioni che, secondo il primo firmatario Manconi, ne ha snaturato parte dell’impianto. Polemiche a parte, l’Italia si è ora dotata di una legge che mancava dal 1988, anno della ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, e per cui il nostro Paese è stato più volte bacchettato dalle più alte istituzioni internazionali: cos’è e cosa prevede la legge sulla tortura.

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Col voto alla Camera, quattro anni dopo la presentazione del ddl al Senato, l’Italia ha una legge che riconosce il reato di tortura, da oggi previsto all’articolo 613-bis del codice penale, che recita:

“Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da 4 a 10 anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”.

Sono poi previste le aggravanti se il reato viene compiuto dalle Forze di Polizia. Il testo recita che le fattispecie aggravate del reato di tortura sono:

“conseguente all’opzione del delitto come reato comune, interessa la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dell’autore del reato, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio; la pena prevista è in tal caso la reclusione da 5 a 12 anni. Viene, tuttavia, precisato dal terzo comma dell’art. 613-bis che la fattispecie aggravata non si applica se le sofferenze per la tortura derivano unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti;

La proposta di legge introduce, poi, nel codice penale l’art. 613-ter con cui si punisce il reato proprio consistente nell’istigazione a commettere tortura commessa dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, sempre nei confronti di altro pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

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Le polemiche sul reato di tortura
Le polemiche all’indomani del voto coprono tutto l’arco politico. Da una parte il centrodestra che sostiene la tesi di alcuni sindacati di Polizia, Sap in primis, secondo cui la legge sarebbe un danno per le Forze dell’Ordine che rischiano di avere “le mani bloccate”.

Il Sap, spesso fautore di posizioni piuttosto controverse (ricordiamo gli applausi ai poliziotti condannati per la morte di Federico Aldovrandi) ha voluto comprare una pagina dei quotidiani Il Tempo e Libero per protestare contro la legge, che, “come strutturato non reprime i comportamenti di tortura ma punta solo a delegittimare le Forze dell’ordine“, tanto da essere “un manifesto ideologico contro le forze di Polizia“.

pagina sap tortura

Polemiche però sono arrivate anche dall’arco a sinistra del Parlamento e dallo stesso Manconi, il senatore PD che presentò il testo originario del ddl il 15 marzo 2013, cioè il primo giorno di questa legislatura.

Nell’intervista concessa al quotidiano Repubblica a ridosso del voto, il senatore ha rimarcato le sue perplessità sul testo uscito dalla Camera e ha paventato il rischio di incostituzionalità, ricordando che il Commissario per i Diritti umani del consiglio d’Europa Nils Miuznieks ha già “evidenziato le acutissime contraddizioni di quel testo di legge“.

Al centro del dibattito politico infatti ci sono stati per anni termini specifici che, secondo i detrattori della legge, rischiano di vanificare il tutto e cioè il passaggio da “ogni violenza“, presente nel primo testo, a “violenze” poi “reiterate violenze” fino al termine definitivo di “più condotte“, così generico da rendere il testo di difficile applicazione.

Reato di tortura, la storia infinita del ddl

Il primo testo è a firma del senatore del PD Luigi Manconi, presidente della Commissione per i Diritti Umani, e profondo conoscitore della materia, che lo presentò il 15 marzo 2013. Dopo la prima approvazione a Palazzo Madama nel 2014, il ddl è stato modificato alla Camera nel 2015 in un testo che Manconi definì “mediocre”, ma comunque “meglio di niente”, tornando al Senato dove è stato modificato nel marzo 2017 fino alla definitiva approvazione alla Camera il 5 luglio 2017.

Il testo introduce il reato specifico di tortura nell’ordinamento giuridico italiano. In prima lettura era di 8 articoli, passati a 7 dopo l’eliminazione dell’articolo 5 che prevedeva l’istituzione di un fondo per le vittime di tortura.

Il reato viene punito con la reclusione da 4 a 10 anni, è qualificato come comune e quindi imputabile a qualunque cittadino, ma si prevede l’aggravante se commesso da pubblico ufficiale che rischia dai 5 ai 12 anni di carcere.

Se dal fatto deriva una lesione personale le pene sono aumentate di un terzo se la “lesione personale è grave” e della metà “in caso di lesione personale gravissima”; se dal fatto deriva la morte “quale conseguenza non voluta”, la pena è la reclusione a trent’anni; se la morte è causata da un atto volontario, la pena è l’ergastolo.

Il ddl introduce anche il reato di istigazione alla tortura: un pubblico ufficiale che istiga un collega rischia da sei mesi a tre anni, anche se non dovesse esserci la tortura. Se dalla tortura si ottengono informazioni, queste non possono essere utilizzate in un processo penale.

La prescrizione ha un limite doppio e vengono stabilite tutele per gli stranieri che rischiano pene corporali e persecuzioni nel caso di respingimento in Stati dove non esiste il reato di tortura.

IL DIRETTORE DI UNA SCUOLA DI POLIZIA FA VEDERE IL FILM SULLA DIAZ AGLI ALLIEVI

Perché avere il reato di tortura

L’Italia era in ritardo di 29 anni sul reato di tortura. La ratifica della Convenzione ONU contro la tortura è del 1984 ed è stata ratificata nel 1988: ciò significa che il nostro paese ha accettato di perseguire penalmente gli atti di tortura delineati all’art. 1 della Convenzione stessa.

Per di più, nell’aprile 2015 l’Italia è stata condannata dalla Corte dei Diritti Umani di Strasburgo per i fatti della scuola Diaz al G8 di Genova. Fu tortura perché la polizia agì come “rappresaglia, per provare l’umiliazione e la sofferenza fisica e morale delle vittime” e venne violato l’articolo 3 della convenzione sui diritti dell’uomo (“nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”). Quanto accaduto la notte dell’irruzione, il 21 luglio 2001, “deve essere qualificato come tortura”, scrisse la Corte che invitò l’Italia a “dotarsi di strumenti giuridici” per “punire adeguatamente i responsabili“.

POLIZIA VIOLENTA, I CASI PIU’ FAMOSI

Con il reato di tortura si aprirebbero nuovi spiragli per alcuni casi di cronaca che continuano a indignare come la morte di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva e molti altri.

La legge è comunque necessaria perché manca il reato specifico di tortura da parte di pubblici ufficiali. Il codice prevedeva articoli sulle “misure di rigore” per gli agenti delle forze dell’ordine (art. 608) che indicano fino a dove ci si può spingere con l’uso della violenza in caso di fermi o arresti, ma senza riferimenti a tutele o garanzie; gli articoli sulle minacce su lesioni, danni fisici o psichici che persone comuni possono infliggere (581, 582 e 612) non valgono per pubblici ufficiali e forze di polizia. Questo ha permesso che un agente di Polizia sia stato sanzionato con una multa di 47,57 euro per i fatti della Diaz.

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