Nicoletta Parisi, intervista al Consigliere dell’Autorità Nazionale Anticorruzione

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Se nel 1982 Pio La Torre non avesse avviato una battaglia per introdurre il reato di “associazione a delinquere di stampo mafioso”, oggi non si sarebbero raggiunti gli obiettivi che invece, nonostante tutto, l’Italia ha raggiunto nella lotta alla criminalità organizzata e forse ci sarebbe ancora qualcuno che pensa che la mafia non esista. La guerra contro la criminalità, il malcostume, la dissolutezza passa infatti prima di tutto per la codificazione normativa.

Senza leggi chiare, definite e organiche fra di loro non solo è difficile contrastare i fenomeni deviati, ma non è nemmeno possibile definirli con precisione. Se la corruzione è per il nostro Paese un problema grave ed endemico, così come ha ribadito Davide Del Monte di Transparency International in una nostra intervista esclusiva, che frena lo sviluppo stesso dell’Italia (alla lunga anche di quelle imprese che si sono dimostrate disposte a pagare le tangenti, come ha spiegato a NanoPress.it l’Onorevole Lucrezia Ricchiuti della Commissione Parlamentare Antimafia) e allora è necessario che innanzitutto le leggi sulla trasparenza siano efficienti.

«Anche il nostro apparato normativo in materia di anticorruzione – spiega nella nostra videointervista la Professoressa Nicoletta Parisi, Consigliere dell’Autorità Nazionale Anticorruzionepresenta problemi per esempio ponendo difficoltà’ di interpretazione: se il decreto legislativo 33 del 2013 spiegasse meglio, ad esempio, cosa vuol dire organo di indirizzo politico, non avremmo diverse interpretazioni della norma che impone la pubblicazione dei dati relativi al patrimonio dei componenti di tali organi».

«La nostra legislazione anticorruzione – continua la Professoressa Parisi – è sicuramente al passo con i tempi: con la legge 190 del 2012 il legislatore italiano, sulla spinta della normativa internazionale, invece di continuare a usare un approccio esclusivamente repressivo, dà per la prima volta importanza anche alla prevenzione».

«Tuttavia questo grosso sforzo normativo che, a partire dal 2012, l’ordinamento italiano sta facendo con successivi decreti legislativi, cercando di colmare alcune carenze del nostro sistema, – aggiunge il Consigliere dell’ANAC – ha bisogno alla fine di una rivisitazione, perché la legislazione disposta in momenti successivi ha sempre necessità di una rivisitazione, affinché tutte le norme contenute nei diversi provvedimenti possano fare sistema. C’è quindi ancora tanto da fare, ma di sicuro la direzione imboccata è quella virtuosa».

Il problema, però, è che oramai la maggior parte dei fenomeni di corruzione sono transnazionali, perché corrotto e corruttore sono di diversa nazionalità o perché la corruzione avviene in un luogo terzo rispetto all’origine dei due soggetti, e quindi i fenomeni coinvolgono apparati giudiziari di diversi paesi. «Quando la corruzione è transnazionale occorre la collaborazione fra gli Stati, nel rispetto dei principi anche penalistica di ciascuno di essi, perché il sistema penale di ciascuno stato ha le proprie caratteristiche».

«Il nostro ordinamento, ad esempio, prevede la concussione, mentre nessun altro ordinamento che io conosco prevede questo reato e infatti lo stesso Consiglio d’Europa ci suggerisce di eliminarlo, perché è un istituto che non è accettato degli altri ordinamenti e quindi crea dei problemi. Se noi avessimo, ad esempio, bisogno di giudicare una persona per concussione, gli altri stati non ce la consegnerebbero perché nel loro ordinamento questa fattispecie di reato non è conosciuta e non e’ possibile superare il principio della doppia incriminabilità».

«Noi abbiamo anche il grandissimo problema della prescrizione: non essendoci un’armonizzazione della prescrizione fra i vari ordinamenti statali, e quindi la fattispecie di reato si prescrive in tempi diversi, impedisce alla fine una punibilità completa dei responsabili di corruzione».

«Il problema di avere diverse definizione di corruzione nei singoli ordinamenti – conclude Nicoletta Parisi – potrebbe lentamente andare a morire se gli stati introducessero nel proprio codice penale la definizione presente nella convenzione internazionale sulla corruzione».

– LEGGI ANCHE la nostra intervista al Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone

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